Le osservazioni che seguono sono state desunte da percorsi clinici compiuti con minori a confronto con esperienze gravi di abbandono, nell’ambito di una collaborazione attuata con la Cooperativa sociale Comin, attiva nel territorio di Milano a partire dagli anni ‘70 con unità famigliari e più in generale progetti a favore appunto di minori e famiglie.
Quando parlo di “abbandono” c’è da precisare che escludo dal termine ogni connotazione di tipo moralistico, e mi riferisco alla situazione relazionale che presenta un’ insufficienza di risorse genitoriali, e che caratterizza di conseguenza relazioni di attaccamento connotate da elevata insicurezza.
L’argomento che propongo, perché mi ha personalmente emozionato, è che l’irrompere di vicende di questo genere nella psiche di una persona può essere assorbito da una funzione compensatoria dell’inconscio, che mette in atto un suo iter salvifico, come ribellandosi ad una possibilità di radicale annientamento. Dell’esistenza di questa dimensione ha parlato D. Kalshed, nel suo libro “Il mondo interiore del trauma”, in cui egli sostiene che il Sé ha propri meccanismi di difesa, più basici di quelli dell’Io. Non sono in grado di asserire se questa funzione compaia sempre e necessariamente; comunque ritengo che se essa si presenta ed è alimentata appropriatamente fornisce alla psiche del soggetto un elemento di riorientamento peculiare.
Quando un bambino subisce un mondo relazionale insicuro o caotico, non è ovviamente capace di svolgere una riflessione verbale critica sulle relazioni, come nell’età adulta. La sua riflessività di soggetto umano passa direttamente per il tramite del mondo immaginario, e dalla possibilità di rappresentare ad esso collegata. E’ presente viceversa un senso di colpa, perché non potendo essere valutativo rispetto alle figure genitoriali, che gli apportano sicurezza, può temere di essere responsabile di un danno che abbia motivato l’abbandono.
Dal percorso terapeutico svolto con un bambino di 6 anni
Le successive sono le prime Sabbie create in un processo di Sand Play Therapy da Dario che venne accompagnato da me in terapia all’inizio del periodo della scuola elementare, dalla comunità nella quale era stato accolto dopo l’allontanamento dalla famiglia. Per età egli si connotava anche a me come un mondo poco conosciuto- lavoro anche con bambini, ma di solito più grandicelli- e mi chiedevo quali sarebbero stati i limiti miei personali nel vederlo, oltre che delle stesse metodologie che ho a disposizione.
Il gioco della Sand Play, ossia della creazione di immagini in un quadro di sabbia, era un tramite tra noi, anche se a quell’età non riempiva tutto il tempo della seduta, che era intervallata da momenti di gioco vero e proprio ( ad esempio: basket nel portaombrelli!), pausa bagno, ricerca caramelle e cioccolatini, sino a che subentrò un momento di grande interesse per entrambi, la lettura condivisa, in cui mi mettevo a leggere seduta in poltrona e lui partecipava pur continuando a giocare, parendo distratto ma poi intervenendo a puntino, oppure mi si arrampicava appresso attento ad un passo particolare o preso dal desiderio di vedere una figura sul libro e sfiorare il contatto fisico con me. La seduta con lui mi richiedeva una preparazione dello studio di alcuni minuti, perché dovevo mettere al sicuro gli oggetti che si potevano rompere, data la tendenza molto alta ad essere distruttivo circa le cose, insieme all’altra a farsi male, cadendo o ferendosi.


Queste due Sabbie, le prime, sono state create in una successione rapida, alla distanza di una settimana l’una dall’altra. La prima rappresenta una savana, con un mondo vegetale in parte traballante e l’irrompere contemporaneo di forze animali che convergono verso la posizione di lui che ha lavorato la sabbia : l’orso, gli scimmioni, le 4 tigri in particolare. Più lontano, nell’angolo a destra, c’è un somarello con la bisaccia. Ciò che è molto interessante di questa Sabbia è il doppio livello che manifesta : sul tavolo da lavoro nelle vicinanze è stata posta infatti una natività, come se Dario stesse ipotizzando lo scenario delle relazioni familiari presente al momento della sua nascita, in un bisogno elementare di trovare le radici della propria identità.
Nella seconda Sabbia compaiono due grandi protagonisti di quello che sarà lo sviluppo successivo del percorso di terapia: Pegaso, il cavallo alato e l’unicorno accanto alla zebra, nella loro funzione vicaria o salvifica. Infatti il bambino me li presenta dicendo :” facciamo che i genitori non c’erano e che loro sono fratelli”. Pegaso è il più forte, è il fratello maggiore e svolge una funzione eroica, che nelle Sabbie successive verrà espressa in molte avventure in cui il suo intervento sarà determinante per salvare qualcuno. L’unicorno è apparentemente meno potente ma unisce alla purezza del pelo bianco, nella mitologia accostato all’amicizia per una vergine , l’incisività penetrante del corno simile ad una spada.
Con quest’accompagnamento il viaggio nel caos del bambino rifiutato può svolgersi e trovare una propria strada nelle battaglie nelle perdite, come mostra in modo incisivo un’ immagine dell’anno successivo, quando Dario si approssimava ai 7 anni .Tarzan che cavalca Pegaso sorregge l’Io del bambino che nell’ esperienza del rifiuto ha subito il rischio di una forte compromissione.

La duttilità del lavoro con la Sand play consente al bambino di esprimere questi vissuti con un pluralità di immagini, mentre il rapporto terapeutico si consolida e la stessa crescita di Dario consente di utilizzare il tempo della seduta nella dimensione meno infantile e più terapeutica.
Dopo all’incirca un anno di questo lavoro, si colloca nel processo un passaggio significativo, nel senso che l’immagine del cavallo magico viene accompagnata dall’immagine/miniatura del cavallo reale, in una successione di rappresentazioni che passano dalla posizione per terra, sul tappeto, luogo spontaneo di gioco per il bambino, sino alla collocazione terapeutica nella cassetta della Sand Play:


Nella Sabbia di Fig.5 Pegaso ed il cavallo reale sono entrati in rapporto con l’elemento umano, perché entrambi portano sella e finimenti per il loro uso domestico, coerente con la presenza accanto a loro di una coppia giovane di fidanzati.
Ad un mese di distanza Dario compone la seguente immagine, commovente, perché ricompone attraverso il simbolismo del cavallo, la positività della funzione di cura di cui ha avuto carenza negli anni della prima infanzia:

Pegaso e l’Unicorno hanno lasciato ora il campo a disposizione di Black, poderoso cavallo nero femmina ed al suo compagno; accanto a loro il cavallino trotta rassicurato dalla loro presenza.
Annotazioni di sintesi
Queste considerazioni non vogliono entrare nello specifico del caso di Dario, come è evidente dal fatto che non abbiamo descritto l’ambito della sue relazione e le complesse ragioni del suo allontanamento familiare. La storia di Dario ha comunque avuto nei fatti un’ evoluzione positiva, nel senso che attraverso il lavoro integrato con i Servizi sociali competenti, si è concretizzato un affido per il quale egli aveva una effettiva motivazione, oltre che l’età per trarne beneficio.
In questo contesto voglio tornare invece sul tema del simbolismo del cavallo e provare ad argomentare perché proprio ad esso possa ricorre l’inconscio articolando quella funzione salvifica di cui parla Kalsched.
L’autore osserva che quando il trauma colpisce la psiche in fase evolutiva, si verifica una frammentazione della coscienza in cui le diverse unità si organizzano secondo modelli arcaici e tipici, cioè archetipici, che solitamente danno luogo a delle diadi : una parte dell’Io regredisce ad un periodo infantile ed un’altra progredisce, diventando precocemente adattata al mondo, spesso nella forma di un falso Sé. Nell’immaginario, la parte regredita della personalità è solitamente rappresentata da un sé bambino o animale, vulnerabile, innocente, spesso vergognosamente nascosto, che sembra esprimere il nocciolo dell’indistruttibile spirito individuale della persona.
Il seguente è un particolare di un’immagine costruita nella Sand Play da un uomo in età, ben adattato al mondo, che nella sua vita adulta subì due gravi traumi, a seguito dei quali fece con me un percorso psicologico analitico:

In questo caso è un” bambi” che esprime l’elemento centrale della personalità, che compare nell’angolo in alto a destra del riquadro composto da questo paziente, spazio considerato spesso predittivo di sviluppo.
Kalsched definisce questo nucleo una sorta di mistero, un dato di essenza indistruttibile della personalità cui Winnicott si riferisce con il concetto di “vero Sé” e Jung con l’elaborazione complessa della nozione di Sé, la cui violazione è impensabile.
Nel frattempo la parte progredita della personalità elabora nell’immaginario simboli di figure potenti, che proteggono o perseguitano il compagno vulnerabile. Si può trattare di un angelo, oppure di un animale favoloso, ad esempio un cavallo ( come è accaduto nel caso di Dario) o un delfino.
Nella scelta inconscia del cavallo come simbolismo progredito si collocano alcune ragioni di fondo : l’espressione dell’ anelito ad una grande libertà istintuale di questo bell’animale, ma anche la sua componente vulnerabile, perché il cavallo non dimentica di essere stato preda nell’antichità ed è nei suoi atteggiamenti estremamente pauroso e guardingo. Soprattutto, è stato comunque compagno dell’uomo, nei secoli, nelle vicende di guerra e nella gesta di cavalleria, dove il nobile portava soccorso a dame in pericolo o imprigionate e assecondava la passione dell’incontro. E’ un animale dunque che più di altri ha espresso il tema dell’integrazione tra natura e cultura. In tanti film, uno tra tutti “ L’uomo che sussurrava ai cavalli”, viene ripreso il momento cruciale in cui il protagonista riesce nell’intento di mettere le redini al cavallo selvatico e traumatizzato lui stesso. Anche in letteratura è stato dato ampio rilievo al tema del rapporto tra soggetto umano e cavallo : cito tra gli altri il romanzo di Robert Olmstead, “Cavallo nero carbone” che descrive le vicende di un adolescente durante la guerra civile americana, che lo vedono andare a ritrovare il padre disperso e attraverso ciò divenire uomo lui stesso.
Ma non voglio dilungarmi nelle amplificazioni di tipo mitologico o culturale, che sono davvero infinite; ciascuno di noi ha le sue predilezioni ed i suoi punti di riferimento.
Rinvio invece conclusivamente all’osservazione di Donald Kalsched, che mi pare importante : “è l’insieme delle immagini progredite e regredite che costituisce specificamente il sistema auto-curativo della psiche a confronto con i vissuti traumatici”, per supporre che in una fase di vita ancora fragile, come quella di Dario, le immagini di progressione debbano avere una prevalenza. Così come viceversa, in una fase ben costruita di vita, le immagini regressive possano avere il particolare significato di promuovere e ricercare l’integrazione Io/Sé, in contesti di radicale riorientamento, più essenziale forse di tutti i ruoli ben adattati che possiamo vivere .
Paola Manzoni
BIBLIOGRAFIA
- Donald Kalsched, Il mondo interiore del trauma, 2014. Moretti e Vitali
- Robert Olmstead, Cavallo nero carbone, 2009, Einuadi
- Ilona Melker, The Black Horse: exploration of a symbol, Journal of Sandplay Therapy, 2012
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