Risonanze, dissonanze, consonanze ai tempi del coronavirus
Carissimi, scrivo per voi.
La mia notte, le mie notti di sono fatte lunghe ed interminabili. La vecchiaia? I miei bioritmi? Non certo il mangiare pesante! L’appetito, ne sono consapevole, mi è scemato. Del cucinare sol m’interessa la sperimentazione sui più vari tipi di lievitazione … giusto per vedere se mi riesce di mettere in tavola un meraviglioso pane casereccio: ho sempre pensato che una tavola senza pane non è tavola, che il pane in tavola non debba mai mancare e, da metà gennaio, mi applico alla preparazione della pasta madre. È stata una suggestione bellissima: la pasta madre, la madre di ogni cibo, il pane; la lievitazione come una gravidanza: l’attesa, non di nove mesi, ma magari nove ore, e poi la sempre “travagliata” cottura! E poi, eccolo il tuo bambino … le manine, gli occhietti … uno scricciolo … un batuffolo, un progetto! Il sogno di un domani!
Anche questa notte sono insonne. A mala pena, ieri sera sono riuscita a seguire la puntata della Gruber. Sono dovuta rimanere in piedi, perché, purtroppo, al solo sedermi in poltrona, in modo inverecondo, mi abbioccavo. Dopo una resistenza eroica per non perdermi “Il punto” di Paolo Pagliaro, mi sono trascinata in bagno, poi in camera, messa a letto e ancora ci ho provato: a pensare che avrei potuto aprirmi un libro, leggiucchiare qualche cosa. L’ho pensato. E subito ho sentito che no, non aveva senso, nulla mi poteva interessare, nulla aveva più importanza di mia figlia che, dalle 21, anche ieri sera, aveva preso servizio al Sacco, dove ormai “non ci sono che i Covid, mamma, lì !!!”. Mi riecheggiavano, nella stanchezza di una giornata che stava concludendosi e che potevo definire “volutamente e forzatamente operosa” le sue parole. Prima di cena, prima di uscire per recarsi in ospedale, mi ha chiamata per un saluto, giacché ora – ma è, veramente, da molti giorni – non ci si vede più … non un abbraccio, un bacino, una tazza di tè, un dolcetto, insieme. Videate: ed è un lusso! Oppure veloci, poche, frammentate telefonate, in toccata e fuga tra un turno sui Covid e l’altro, negli spazi risicati che un medico ospedaliero del Sacco (focolaio – dice mia figlia – nel focolaio lombardo di una città fantasma come la Milano di questi giorni) riesce a ritagliarsi per la propria vita privata …
Risicata? mi chiederete. Perché?
Perché un medico non dismette mai il camice. Anche a casa, Dona deve … deve preoccuparsi di non diffondere un possibile, rischiosissimo contagio … qualora avesse contratto il virus, ne fosse portatrice asintomatica o si trovasse nella fase un cui potrebbe trasmettere il virus, pur non avendone ancora conclamata la sintomatologia, che potrà evidenziarsi, magari, da lì a qualche giorno.
Ho rinunciato, dunque, ad aprire un qualunque libro: giacciono silenti e polverosi da oltre un mese sulla sottomensola del mio comodino tra cavetti per cellulari, caramelle al miele per la tosse, tronchetti di liquerizia fluidificante e fazzolettini di carta. Verrà un giorno, e vivaddio, in cui tutta questa accozzaglia di “presidi esistenziali”, utili per agevolare il mio transito nel tempo buio di una nottataccia, non mi sarà più così tremendamente necessaria!
Intanto, per ora, eccomi qui in preda ad una tosse convulsa che mi spaventa, eccomi qui a scrivervi … per sentirmi meno sola in una notte di tempesta della mia vita; mentre dirompe dentro di me il mugghiare del mare che in serata si è fatto grosso e sbatte omericamente contro la scogliera e dal monte scende, schiaffeggiando le persiane della mia camera da letto, un vento duro, freddo, non umano.
Mia figlia ha voluto che venissimo in Liguria per evitare il contagio; da tempo ci definisce soggetti a rischio, io e suo padre, per le pregresse broncopolmoniti e per l’età che, nel gioco cinico del “chi intubo ed ossigeno” a cui i medici ospedalieri ora si trovano di fronte, non saremmo – sic ! – tra i fortunati. Ci siamo venuti e poi ci siamo trovati bloccati qua da un decreto che fa di noi, due tra coloro che son sospesi in uno spazio/tempo limbico e surreale.
Nell’apocalisse di questa nottata, io/Laura, tu/ smarrito essere umano, ti aggrappi alla tua zattera sgangherata e allunghi la mano per trarre in salvo tua figlia, che potrebbe essere sommersa dai flutti, da un momento all’altro. Lei no; è troppo giovane … ha dei figli da crescere … Lei no.
Ti prego, Iddio … lei no!
Intanto, dalle fessure delle imposte, incomincia a filtrare un po’ di luce; sono le sei e diciotto. È cambiato il vento ed anche il mare pare cominci a calmarsi. Alle sei e mezza (un orario più che civile!), potrò scendere in cucina a farmi un buon caffè caldo. Potrò sorseggiarlo pensando che la nottata è passata. Ancora qualche ora e Dona smonterà dal servizio e si avvicina l’ora di una possibile chiamata … magari riuscirà davvero a chiamarmi, magari mi dirà che è stanca … ma che sta bene … che farà una videochiamata con le sue figlie … che anche al Sacco si vede che le cose cominciano ad andare meglio e che la pandemia a Milano dà segni di iniziale recessione, che possiamo incominciare a pensare a quando potrà venire al mare da me, a quando anch’io potrò considerare di essere al mare davvero, potrò scendere sul lungomare e fotografare la mia grande, possente, ombra junghiana e – ridete con me, vi prego – immaginare in uno svolazzo delle braccia anche di abbracciarla la mia cara ombra junghiana!
Mi viene un dubbio: forse non ho scritto per voi, forse ho scritto per me e vi devo ringraziare, di cuore, per avermi tenuto compagnia ed aiutata …
Quantomeno a gestire l’insonnia.
E … adesso che è giorno, ho preso il caffè ed è tutto tranquillo, posso vedere di schiacciare almeno un pisolino, sennò come farò ad affrontare la giornata, che vorrò “volutamente e forzatamente operosa”?!
Laura Zecchillo
In questi giorni ho saputo di 3 persone molto care a me coinvolte, come la figlia di Laura, nella gestione diretta del virus, una come medico, in realta ginecologa, l altra infermiera, il terzo in ambulanza.Ne capisco pertanto le emozioni che traspaiono dall articolo.Dalla posizione di attesa relativamente tranquilla che ho per eta e per ruolo desidero che ricompaia presto un mondo che non richieda eroismi, in cui sia legittimo prestare cure o fornire un servizio senza un rischio cosi drammatico.Il mio pensiero va anche ai tanti lasciatii allo sbaraglio, dalle cassiere di supermercato ai medici della provincia di Bergamo senza mascherina.C e qualcosa dentro di me che si ribella, forse e l origine del mio nome, Paola.Vine da uno zio che aveva il difetto di essere un bravo ragazzo.Laureato al Poli, parti con gli alpini per la Russia con gli scarponcini da monti italiani e non torno indietro,a 24 anni.Speriamo che questo mese di aprile lenisca i sacrifici e non renda piu indispensabili gli eroismi
Grazie a te, per aver condiviso vissuti e pensieri. E soprattutto immagini. Alterni immagini in cui vive la speranza, il desiderio, l’azione. Una tavola imbandita, il processo della lievitazione, la soddisfazione per il pane appena sfornato, il sole che filtra tra le persiane, l’abbraccio con la tua ombra, un buon caffè…
Ad immagini in cui sperimenti l’inquietudine, la paura. Il mugghiare del mare che dirompe, il freddo che cala dalla montagna, la zattera sgangherata, la tosse convulsa, l’accozzaglia di presidi esistenziali, l’attesa di una telefonata…
Anche i tempi verbali si alternano in modo aderente alle emozioni e ai sentimenti che sperimenti e riconosci ad uno ad uno o, più facile, tutti insieme.
Ritrovo la verità di quei chiaro-scuro e di quel fluttuare di tempi verbali nel nostro vivere presente.