Educare ai tempi del coronavirus

Risonanze, dissonanze, consonanze ai tempi del coronavirus

L’altro giorno ho avuto una video-riunione con gli Educatori della Comunità Minori presso la quale offro la mia consulenza psicologica.

È dai primi di marzo che, a causa della pandemia in corso, non posso recarmi in Comunità. Rivederli e confrontarmi con loro, anche se solo virtualmente, ha sollecitato in me diverse riflessioni.

Innanzitutto ammirazione e rispetto per il lavoro che continuano a svolgere in Comunità con i ragazzi, nonostante le difficoltà contingenti legate alla situazione: i ragazzi sono in clausura ormai da più di un mese e non possono incontrare nessuno al di fuori dei loro Educatori.

Mentre li ascoltavo raccontare la loro quotidianità, percepivo il coinvolgimento emotivo a livello relazionale con i ragazzi e tra di loro, coinvolgimento che li spinge ad andare oltre le paure e i timori per continuare a rimanere dentro una relazione di cura .

Ho ricordato anche quanto scritto da Paolo Cozzaglio nell’articolo “Il disagio psichico ai tempi del coronavirus” sulla rivista di psicoanalisi on line Cepeide (1). Cozzaglio descrive la differenza di comportamento attivato dai pazienti delle Comunità Psichiatriche residenziali di cui è responsabile e la maggior parte della popolazione cosidetta “normale” . I suoi pazienti, appresa la necessità di cambiare atteggiamento a causa del virus “sono stati collaboranti”. “Una situazione ben diversa da quella a cui abbiamo assistito con sconcerto a Milano con la calca nelle stazioni dei treni per scappare ,o i gruppi di movida sui navigli, l’affollamento degli impianti sciistici o comunque tutti quei comportamenti “non-coscienti” di molte persone “normali”.

Cozzaglio scrive ancora: “applaudo al responsabile atteggiamento dei pazienti, perché ci mostra che la sofferenza e il disagio grave non annullano la nostra soggettualità attiva e la condivisione”.

Anche all’interno delle Comunità minori sta accadendo questo: nonostante le problematiche attuali, i ragazzi stanno “tenendo”, grazie anche ai loro Educatori che non li hanno abbandonati ma che continuano il loro lavoro di cura con responsabilità e impegno relazionale notevoli.

Questo loro mantenere la relazione educativa direttamente sul “campo” mi ha fatto riflettere su dove è finito il nostro coraggio di professionisti della cura: ho pensato a tutte le discussioni in atto all’interno dell’Ordine degli psicologi sulla sospensione delle psicoterapie negli studi professionali (“per tutelare la persona in cura”, ma anche noi psicologi) alla ricerca di tutte le giustificazioni possibili per passare alle psicoterapie virtuali via Skype.

Forse il paragone è esagerato, ma mentre condividevo con gli Educatori le loro difficoltà e preoccupazioni legate alla relazione con i ragazzi in questo periodo così difficile, mi è venuto spontaneo associarli a quel grande Educatore che è stato Janusz Korczak. Medico ed Educatore polacco era il direttore dell’Orfanotrofio di Varsavia quando Hitler ha occupato la Polonia.

La mattina del 5 agosto fu deportato nel campo di sterminio di Treblinka insieme a tutti i bambini ospiti dell’orfanotrofio ebraico del ghetto di Varsavia. I bambini uscirono dalla loro Casa vestiti con gli abiti migliori, ordinati, mano nella mano. Il corteo era chiuso dallo stesso Korczak che badava a mantenere i bambini sulla carreggiata. Riconosciuto dagli ufficiali nemici venne trattenuto perché una tale personalità non avrebbe dovuto seguire il destino degli altri, ma egli si rifiutò di abbandonare i suoi bambini. Sembra sia morto di dolore durante il trasporto.

Nel libro Come amare il bambino (2) Korczak invita gli adulti a piegarsi, abbassarsi fino al bambino per riuscire ad entrare in una vera relazione con lui: è quello che stanno continuando a fare gli Educatori delle Comunità per minori anche in questo periodo tragico della nostra esistenza.

Paracelso,nel 1400 scriveva che “la causa principale della guarigione è l’amore” (3).

Jung era convinto che “l’amore porta e sopporta, soprattutto quando noi non comprendiamo e viviamo eventi incomprensibili” (4).

Mai come in questo momento storico dobbiamo riconoscere che molti professionisti della cura stanno operando con vero amore.

A conclusione dell’equipe mi è venuto spontaneo dire loro che, secondo me, al termine di questa drammatica esperienza di vita, lo Stato dovrebbe riconoscere loro una “specializzazione educativa in situazione di emergenze” e, perché no, anche un riconoscimento economico più adeguato al loro impegno professionale. Ci siamo lasciati con un sorriso.

Giuseppe Fojeni


Note bibliografiche

(1) Paolo Cozzaglio, Il disagio psichico ai tempi del coronavirus, www.cepeide.it

(2) Janusz Korczak, Come amare il bambino, Luni ed.,2013.

(3) Paracelso, Paramirum. Trattato sulle cinque cause di malattia, Enea ed. 2012.

(4) C.G .Jung, Liber Novus, Bollati Boringhieri, 2012.

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