“Vuolsi così colà dove si puote”. Tra letteratura e pandemia

Risonanze, dissonanze, consonanze ai tempi del coronavirus

Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare1” risponde Virgilio, stizzito, prima a Caronte e poi a Minosse. La storia è nota: la formula, divenuta celebre, è il passy per accedere ai regni che sarebbero altrimenti preclusi al suo vivente protégé. E il poeta latino – povera anima confinata tra “color che son sospesi”, nella dimensione limbica in cui l’impossibilità della scelta di essere scelti è cifra e condizione della disperazione eterna (“sanza speme vivemo in disio”) – più volte nel corso del viaggio ultramondano dovrà ripetere la sua frase rituale, variata nei termini ma non nella sostanza. Con gli inquietanti mostri custodi delle varie zone infernali, coi diavoli che tentano di ostacolargli il passo, con il solenne Catone che presidia la spiaggia del Purgatorio, con le ombre dei trapassati che stupiscono – irritati invidiosi incuriositi increduli – dell’evidente quanto inconsueta vitalità del pellegrino Dante, la guida paterna e accudente esibisce con ostinata e umana pazienza la loro potente autocertificazione. Certo, l’autorità soprannaturale e assoluta del loro garante non può essere messa in discussione, e di fatto previene qualsiasi obiezione, fa morire sul nascere qualsiasi interlocutorio “ma”, zittisce e rende vano ogni aggressivo e velleitario affronto.

D’altronde, come ricordiamo, il “tosco” in quanto a raccomandazioni non scherza: tre donne beate (la Vergine Maria, Santa Lucia, e Beatrice) hanno brigato per la sua salvezza, affidando a Virgilio l’incarico che l’antico poeta – emblema della ragione naturale – assolverà con commovente premura. Infatti, mentre Dante-pellegrino tituba, l’io narrante non ha dubbi (liberante profondità della fede!): il povero viandante vorrebbe tornare velocemente sui propri passi (“e se ’l passar più oltre ci è negato, / ritroviam l’orme nostre insieme ratto” – e va bene che si debba attraversare questo luogo infame, ma pure dover affrontare vis-à-vis l’ostilità dei diavoli pare troppo!), ma il suo “duca” presenta anche a lui l’autocertificazione: “Non temer; ché ’l nostro passo non ci può tòrre / alcun: da tal n’è dato” , ennesima versione del “Vuolsi così colà dove si puote…”. Ripetuto, il lasciapassare si fa una sorta mantra, ancorché trasformato nei suoni.

L’universo simbolico della Divina Commedia è nutrito di Medioevo, e dunque di aristotelismo e di tomismo, e di favole antiche; della cultura, della sensibilità, dello spirito, dell’esperienza di Dante; ma è nutrito anche dell’anima di ciascun lettore nel momento in cui dà voce ai versi. Come ogni grande opera artistica, essa vive nel “tempo grande” di cui parla il filosofo russo Michail Bachtin, vale a dire in una dialogicità continua, che attraversa il momento storico in cui è collocata e lo oltrepassa. In altri termini, il testo letterario vuole essere osservato quale espressione del mondo significativo dell’autore e, ad un tempo, trasformato e arricchito nell’incontro con lettori e interpreti; se parla all’inconscio di ognuno, è anche vero che proprio l’inconscio di ognuno lo alimenta, dacché nel linguaggio simbolico si accrescono le esperienze dell’uomo, le più dolorose come le più folgoranti. “Infin ch’arriva / colà dove la via / e dove il tanto affaticar fu volto”, direbbe Leopardi, con ben altra conseguenzialità. E ciò che per il pastore errante è “Abisso orrido, immenso, / ov’ei precipitando, il tutto obblia”, per il nostro è “l’amor che move il sole e l’altre stelle”. A te, lettore, la scelta, ove mai la scelta si renda disponibile. D’altra parte, come scrive la psicoanalista Silvia Montefoschi, il simbolo è un modo di dire l’indicibile e al contempo, filosoficamente, un modo di dirsi dell’indicibile, nella dialettica delle contraddizioni universali.

Così, insieme al pellegrino Dante, ognuno può muoversi e sondare l’insondabile nel percorso iniziatico che porta alla profondità di sé per giungere all’altro e (quasi impercettibile paronomasia) all’Oltre. Per questo può avere un senso pregnante, oggi, la dolcezza infinita che suggella la fine dell’Inferno, quando, con rinnovata competenza del dolore, il poeta itinerante può finalmente abbandonarsi: “e quindi uscimmo a riveder le stelle”.

Gianna Cerruti


Note

1. «Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare», cioè «questa è la volontà di chi detiene il potere, non chiedere altro». È una celebre espressione mutuata dalla Divina Commedia di Dante Alighieri. La pronuncia Virgilio, guida di Dante nel viaggio nell’aldilà, per quietare gli spiriti infernali che protestano al passaggio dei due visitatori, in particolar modo contro Dante stesso che è persona vivente; l’accettazione da parte dei diavoli del passaggio dei due visitatori dopo la formulazione dell’esorcismo indica anche la loro sottomissione alla legge divina, di cui sono anch’essi esecutori.

1 commento su ““Vuolsi così colà dove si puote”. Tra letteratura e pandemia”

  1. “…e quindi uscimmo a riveder le stelle”, la conclusione di questo articolo così poetico e profondo mi fa risuonare alle orecchie i versi della canzone che Roby Facchinetti ha dedicato alla sua Bergamo in questi giorni così segnati dalla morte. “Rinascerò rinascerai” , canta Facchinetti con struggente melodia e ancora “torneremo a riveder le stelle”.
    Dante esce dall’Inferno e prosegue il suo percorso iniziatico verso il Purgatorio per raggiungere il Paradiso: mi sembra di cogliere l’invito da parte dell’Autrice a lasciarsi interpellare dalla foresta di simboli in cui ci ha trasportato questa tragica esperienza che stiamo vivendo per continuare il nostro cammino di iniziazione alla vita e giungere ad una scelta tra “l’abisso, orrido, immenso
    ov’ei precipitando, il tutto obblia””
    e “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.
    Nell’omelia della Liturgia del Venerdì Santo, Padre Raniero Cantalamessa ha detto: “la pandemia del coronavirus ci ha bruscamente risvegliati dal pericolo maggiore che hanno sempre corso gli individui e l’umanità, quello dell’illusione dell’onnipotenza”.
    Questo virus- invisibile agli occhi come l’inconscio -ci può aiutare a compiere la nostra scelta, passando attraverso la sofferenza e il dolore, per andare verso l’essenza della vita stessa che è, come ci indica Gianna Cerruti,
    scrutare “la profondità di sé per giungere all’altro e all’Oltre”.
    Grazie!

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