Tra le diverse attività svolte in queste giornate di forzata clausura ho ripulito la libreria dello studio riscoprendo alcuni libri che erano in attesa di lettura: tra questi un testo del filosofo francese Francois Jullien.
Alcune considerazione da lui proposte mi sembrano corrispondere a punti fermi del nostro pensare psicoanalitico.
Innanzitutto l’aiuto che offriamo, durante il percorso di cura, a chi incontriamo perché ritrovi un senso alla sua esistenza rileggendo la sua vita per modificare gli schemi mentali che gli portavano sofferenza e che gli impedivano di divenire Soggetto della sua esistenza.
Jullien, con l’acume che gli è proprio, parte da una rilettura del Vangelo di Giovanni e mostra come il pensiero di Gesù sia stato mal interpretato a causa di una errata traduzione dal testo greco, evidenziando un messaggio profondo che invita l’uomo a riscoprire se stesso per divenire Soggetto e vivere la propria vocazione alla vita, proprio come cerchiamo di agire noi.
Di seguito una sintesi del testo di Jullien con particolare attenzione ai riferimenti condivisi.
Francoise Jullien, RISORSE DEL CRISTIANESIMO

Per il filosofo francese Francoise Jullien il contributo che il cristianesimo ha dato e può dare all’umanità è una risorsa importante.
Egli individua nel Vangelo di Giovanni una serie di risorse che possono aiutare l’uomo a migliorare la propria esistenza: risorse che non sono state colte finora da una lettura teologica che non ha saputo cogliere la profondità di alcuni termini greci. Jullien ci offre, in questo modo, una lettura originale del testo evangelico evidenziando i suggerimenti che aiutano la crescita personale di ogni essere umano. «Giovanni ci dice essenzialmente due cose. Da una parte, che l’evento Gesù può cambiare tutto: possiamo “divenire sani” da infermi che eravamo; che può farci entrare dentro una vita totalmente altra e che, per mezzo di esso, l’impossibile diventa possibile. Dall’altra, che, quando l’evento è giunto al suo punto decisivo, nella maggior parte dei casi, dall’esterno non lo percepiamo» (p.48).
Con l’annuncio di questo evento-Gesù, Giovanni va oltre la logica del pensiero (=vero/falso) e dell’essere (=esiste/non esiste) che caratterizzano il pensiero greco-occidentale, per offrirci la scoperta di un evento inaudito: la vita.
«Il “Cristo” non è soltanto, in Giovanni, colui attraverso il quale si articolano l’Essere e il divenire, ma è parimenti colui per mezzo del quale questo avvenire si promuove e si fa vita: attraverso di lui si dà da pensare come la vita possa essere viva» (p.50).
La vita costituisce il valore assoluto per l’essere umano, la sua vocazione. E la proposta che offre Gesù è: vuoi essere in vita o avere in te la vita?
Jullien, riprendendo il testo di Giovanni dall’originale greco, evidenzia come la traduzione ufficiale della Chiesa non permetta al lettore di coglierne il vero messaggio:
«Giovanni distingue da un lato la vita in quanto semplice essere in vita, essere animati, siccome conserva in sé il soffio vitale: ciò che chiama psyché (ψυχὴν), in relazione con il nephesh ebraico; ma anche in Omero, i guerrieri che cadono sotto le mura di Troia lasciano sfuggire la loro psyché, che è il loro soffio vitale. Dall’altro lato, Giovanni nomina vita, zoè (ζωὴν ),il fatto di avere in sé la vita nella sua pienezza. La distinzione viene fatta nel mezzo del vangelo (Gv.10,10-11): ne è il cuore. Infatti per un verso il buon pastore “depone la propria vita”(Gv.10,11)(sacrifica la propria vita) psyché, per le sue pecore, è pronto a morire per loro. Tuttavia, per l’altro verso, se lo fa, è affinché gli altri, le sue pecore, “abbiano la vita(che chiama allora zoè) … in sovrabbondanza”. “In sovrabbondanza”, piuttosto che “in abbondanza” (come la traduzione comune, che perisson ( περισσὸν), -in greco- ha il significato di superamento della misura, il traboccare e l’eccedere). La vita è sovrabbondante come è sovrabbondante la moltiplicazione dei pani (alla fine del pasto ne avanzano ancora diverse ceste). Ora, una tale distinzione capitale, attorno alla quale si costruisce il pensiero di Giovanni, è occultata del tutto nella traduzione, che rende sempre uniformemente con “vita” quello che Giovanni pensa in due termini separati. Essere vivi in effetti significa due cose: può significare solamente essere in vita, cioè non essere morti, in qualità di condizione; e avere in sé la vita in sovrabbondanza, cioè in quanto essa è vita e di conseguenza non può morire: in qualità di vocazione. Tutto lo sforzo di Giovanni sarà, almeno in un primo momento, di divaricare il più possibile questo secondo senso dal primo, ampliando il campo del pensabile». (p.54).
Cosa significa allora essere “vivi”?
Significa nutrire il “proprio potenziale vitale”, cioè non solo il proprio “corpo” e la propria psiche: è indispensabile nutrire la “vita che non muore”.
Per Giovanni è fondamentale per l’essere umano progredire dall’ “essere in vita”(ψυχὴν) alla “vita”( ζωὴν).
Secondo Jullien, al fine di raggiungere questo obiettivo, occorre “de-coincidere” dall’adeguamento-adattamento a se stessi e al proprio mondo (a ciò che ci siamo costruiti durante la nostra esistenza) «Per ridispiegare i possibili che vi si rinserravano e riaprire un futuro alla vita, ovvero a un divenire di avvento» (p.68).
Gesù non chiede ai discepoli di convertirsi, ma di seguire la logica della vita: il pericolo si trova nella vita stessa se la si intende solo come psyché (ψυχὴν).
L’insegnamento di Gesù, che sostiene Giovanni, insegna ad approcciarsi diversamente alla vita, a passare dall’aderenza con l’essere-in-vita, a ciò che fa sì che la vita sia vita. E questo percorso apre all’inaudito ( in-audito = mai ascoltato prima): sono io il pane della vita!
Con questa espressione, come con quella della porta, “sono io la porta” (dalla quale dobbiamo passare per essere salvati) , Gesù ci spinge a “de-coincidere” rispetto a ciò che abbiamo ritenuto adeguato fino ad ora, ci fa sbandare rispetto a ciò a cui abbiamo finora aderito, per aprirci ad un’altra dimensione, quella dello spirito.
Utilizzando questo linguaggio paradossale Gesù sembra comportarsi come i Maestri Zen che utilizzavano il Koan, una preposizione priva di senso che spinge ad uscire dal ragionamento logico razionale per accedere all’illuminazione: «Lo Zen è vivere, lo Zen è la vita e vivere è Zen … dire che viviamo Zen significa essere divenuti consapevoli del fatto stesso … cosa mai esiste di più importante nella vita umana che scoprire in essa il Divino? … divenire completi, allora, si risolve nel divenire cosciente “proprio di quel piccolo fatto” che è sempre nella tua mente ma che non hai mai saputo riconoscere» (Suzuki, 1996).
Da quello che per noi era una sicurezza perché stabilito nel tempo (le nostre verità sedimentate in noi), dall’ovvio (è sempre stato così), Gesù ci invita a passare all’ in-audito, a ciò che non si è mai sentito prima: l’in-audito che è l’evento vita: la vita in quanto essa è viva.
Pronunciando un’altra frase in-audita “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv.14,6) è come se Gesù indicasse un percorso da seguire.
La verità diventa “via di accesso alla vita”. Ma la verità non deve essere intesa come associata a un contenuto oggettivo (= questa è la verità) ma ad un Soggetto che la costituisce.
«Attraverso Cristo … la verità è divenuta il fatto del soggetto … questo cambiamento era stato preparato: io sono “il pane della vita”; io sono “la luce del mondo”; io sono “la porta”. L’io soggetto è posto al principio, come fondamento autosufficiente, non dipendente da qualche autorità, non più dal mondo o dal passato» (p.84).
È il Soggetto, nel suo agire, che fa/opera la verità. La fa avvenire in se stesso.
Questo diventa dunque il movimento interiore che ogni uomo dovrebbe attivare, come fa Gesù che, in ogni sua opera e in ogni sua parola mostra la verità del suo sé.
«Il Vangelo di Giovanni è dunque l’autorivelazione progressiva dell’ipseità di Gesù in quanto Cristo. Difatti non vi è altri che il sé a poter dire di se stesso chi esso è in quanto sé. Nessuno può farlo al posto mio o a mio nome» (p.88).
Diventa dunque fondamentale rivedere la nostra identità, nel suo divenire, spogliandola delle identificazioni che gli altri proiettano su di noi.
Giovanni «È soprattutto attento, riguardo alla figura del Cristo, all’autorivelazione del Soggetto nella sua in-audita ipseità» (p.100).
Ma un soggetto come si pone in relazione con il mondo?
«Dal momento in cui un sé si pone come Soggetto, da che dice “io” (l’io dell’ “io sono”) non fa necessariamente breccia nel mondo?» (p.101)
Quando questo avviene, l’uomo può transitare dalla dimensione psichica(ψυχὴν) (dal suo “essere in vita”) alla “vita” ( ζωὴν).
Anche l’Altro (= il Tu), per esistere, deve estraniarsi dal mondo e diventare anch’esso un Soggetto.
Per il filosofo francese infatti risulta impossibile incontrare l’Altro, nel mondo.
Solo divenendo Soggetto io posso essere “dentro nell’altro”, come propone Gesù: “Voi siete in me e io in voi”(Gv.14,20). Quando poi afferma: “Io vivo attraverso il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà attraverso me”(καθὼς ἀπέστειλέν με ὁ ζῶν πατὴρ κἀγὼ ζῶ διὰ τὸν πατέρα, καὶ ὁ τρώγων με κἀκεῖνος ζήσει δι’ ἐμέ.) (Gv.6,57), non fa che mostrare la dinamica espansiva che caratterizza la vita.
Qui Jullien è molto incisivo: «Gli esseri che mi sono cari vivono realmente “attraverso” me: io sono in te e tu in me, nel “più profondo” di te come nel “più profondo” di me … questo perché siamo emersi dall’appartenenza al mondo in cui ciascuno di noi vive, nel senso della psyché (ψυχὴν), confinato in sé stesso … questa esteriorità rispetto al mondo è anche la condizione di una interiorità condivisa tra l’altro e sé. Infatti è solamente tenendomi fuori dal mondo che posso estrarre l’altro dai rapporti di forza che costituiscono il mondo … e non più proiettare su di lui il mio interesse: è solo così che posso cominciare veramente ad incontrarlo e, dirà Giovanni, ad amarlo» (p.108).
Amore inteso come agape (ἀγάπη) nel senso greco del termine. Anche qui Jullien sottolinea come la traduzione fatta della Chiesa di questo termine in “carità” lo limita in una dimensione di altruismo.
L’amore invece è un’energia espansiva: «L’amore espansivo è l’amore dell’ “io vivo attraverso di te”. L’amore permette agli esseri di “dimorare” l’uno dentro l’altro» (p.110).
Giuseppe Fojeni
bibliografia
- Jullien F. (2019) Risorse del cristianesimo, Ponte alle Grazie.
- Daiset Teitaro Suzuki (1996) Vivere Zen, Mediterranee.