Grandi sogni, sincronicità e altro … nel tempo del coronavirus.

Risonanze, dissonanze, consonanze ai tempi del coronavirus

Nello scorso mese di maggio si è concluso il percorso terapeutico di Massimo, 35 anni, iniziato nell’anno 2016.

Il sogno conclusivo che l’inconscio ha donato a Massimo e a me ha spalancato, come fosse finestra, uno sguardo sul Mistero nascosto nel processo di crescita di ogni essere umano, mistero che la psicoanalisi, quotidianamente, cerca di interrogare.
Sono grato a questo sogno e alla sincronicità che ha attivato, perché mi ha stimolato a riflettere sul mistero della tensione umana tra l’apertura infinita al senso della vita e i limiti posti a questa apertura dal vivere concreto nello spazio/tempo e dalla corporeità.

Il sogno raccontato da Massimo il 12 maggio è questo:

Sogno un’orchestra che sta suonando canzoni italiane, francesi, un po’ di jazz, di blues. I suonatori hanno un fascino impressionante e le note scivolano tra le persone del pubblico. La gente si lascia trasportare da questo ritmo e nulla riesce a fermare l’orchestra. Tutti partecipano, la gente balla in festa. Sembra la celebrazione di una gioia. Io sono parte di questa orchestra e sto suonando l’armonica che era di mio nonno e che mio padre mi ha regalato al mio trentesimo compleanno. Riesco ad esprimermi bene e sono in perfetta sintonia con gli altri. Non siamo noi a gestire la festa, ma è come se ci fosse qualcosa di più grande che ci aiuta e ci guida unendo in una sola cosa noi orchestrali e tutta la gente. Sono veramente felice e appagato. Provo una forte sensazione di serenità e armonia e mi sveglio mentre la musica continua a suonare.

Il 3 giugno successivo, mentre sto leggendo il libro “Esperienza e mistero” (1), scopro una lettera in cui Jung, nel 1959, risponde ad un certo dr. Pearson residente a Città del Capo:

«Si danno sogni di vario genere. Secondo la suddivisione dei primitivi esistono grandi e piccoli sogni. L’esempio che lei mi ha inviato* rappresenta evidentemente un sogno grande e di particolare importanza.»

E la nota esplicativa (*) ci dice che «Si tratta di un sogno di tremenda intensità, in cui il ventottenne sognatore rappresentava egli stesso non solo spazio e tempo, ma anche il teatro, la musica, il pubblico, gli attori e tutti i membri dell’orchestra.»

Il sogno di Massimo sbocciato nel 2020 trova riscontro nel sogno di un ventottenne di Città del Capo verificatosi nel 1959!

Questa scoperta mi ha rallegrato perché mi sono sentito coinvolto nel mistero della vita che mette in relazione il passato e il futuro con il presente, gli esseri umani tra di loro e con il cosmo, come in una sinfonia e in una danza armoniosa, creatrice e infinita.

Paolo Cozzaglio in “Dialoghi con il sogno”, scrive: «È a partire dalla visione archetipica dei “grandi sogni” che Silvia Montefoschi coglie il significato ‘eversivamente’ trasformativo del sogno in Jung e perciò si interroga radicalmente sul senso stesso del sogno nella vita. Perchè, come singoli sognatori, dovremmo affannarci a rivoluzionare la nostra visione della vita se ciò che scopriamo non fosse universalmente valido? Perché la psicoanalisi dovrebbe interessarsi solo delle problematiche individuali del singolo uomo e negare, o solo toccare tangenzialmente, le domande fondamentali che hanno accompagnato l’umanità sin dal suo nascere?»(2).

La stessa Montefoschi, intervistata, dirà che «La scoperta grande, scritta ne la dialettica dell’inconscio,( è stata) che il processo individuativo non era un processo soltanto personale, soggettivo, ma che era corale e che quindi era l’inconscio collettivo stesso che portava avanti questo processo alla ricerca della consapevolezza di sé come unico soggetto»(3).

Il sogno ci è dunque alleato e ci accompagna nell’evoluzione progressiva della nostra esistenza. Ci sostiene e suggerisce direzioni perché noi possiamo prendere coscienza di ciò che ancora non conosciamo del mistero della vita. Questo processo non appartiene solamente a noi perché, come afferma ancora Montefoschi, c’è «piena coincidenza tra il processo di pensiero che si dà nell’uomo e quello della totalità dell’essere e dell’esistente»(4).

Quest’ultima accentuazione circa la “coralità” che caratterizza il processo individuativo e la coincidenza tra il nostro pensiero con la totalità dell’essere mi spingono verso un’altra riflessione: le difficoltà che incontriamo in Occidente a fare nostro il Pensiero Uno della Montefoschi (il Mistero della vita, l’entanglement della fisica, il Verbo biblico, il vuoto dei Buddisti, l’Advaita degli induisti …) nasce forse dal fatto che tendiamo ad assolutizzare la nostra Weltanschauung?

Hayao Kawai, primo giapponese a diventare analista junghiano, scrive: «Un giapponese dà per scontato il collegamento con gli altri, con tutti gli altri, nel senso di una identità comune: sviluppa quindi il proprio Io senza scindere questo legame. Quando ci si scontra con questa differenza senza conoscerla, ne conseguono incomprensioni perfino nella conversazione di ogni giorno o nei sentimenti di fondo di qualsiasi relazione. È difficile da spiegare, ma parlando in astratto: l’Io occidentale ha una forte capacità a “tagliare”, dividendo ogni cosa. Al contrario, l’Io giapponese conserva una sua forza “includendo” invece che “separando”… io credo che la coscienza occidentale è uno dei vari modi di essere della coscienza, ma non si può dire che sia l’unico, anche apprezzandone la potenza». (5)

Forse sarebbe opportuno attingere anche alla “coscienza orientale” senza farci impaurire dalla visione spirituale da cui è abitata.

Le scoperte della fisica dei quanti ci spingono a ripensare la realtà in questa direzione perché molte delle attuali scoperte erano già state anticipate dalle filosofie orientali.

Durante un convegno tenutosi a Milano nel 2016, chiesi al fisico Shantena Augusto Sabbadini perché ha aggiunto un nome orientale a quello italiano e ha imparato il cinese solamente per tradurre in italiano l’I Ching e la trilogia dei classici taoisti, Lao Tzu, Chuang Tzu e Lieh Tzu. Mi ha risposto che, studiando la fisica quantistica, ha preso atto che la materia è solo una forma del processo della coscienza. Il mondo non è un mondo di cose, di oggetti che un’astratta coscienza manipola a suo piacimento. Il mondo e noi siamo espressione della stessa creatività della coscienza, onde di energia nell’oceano dell’esperienza. Tutte queste cose le avevano già “sentite” i pensatori orientali e dunque entrare in contatto con loro era un arricchimento e un aiuto a prendere meglio coscienza della realtà.

«Siamo tutti profondamente interrelati, umani e non, innumerevoli esseri che ci hanno preceduto vivono in noi, e noi viviamo in innumerevoli esseri che ci seguiranno. L’intero passato dell’universo si riversa in questo istante, dal quale si dipana l’intero futuro dell’universo. O forse questa è una visione troppo limitata? Forse l’intera storia dell’universo, passato, presente e futuro, è presente in questo istante, in questo “momento di coscienza” eternamente presente?» (6)

«Carl Gustav Jung ha chiamato il centro della coscienza ordinaria “ego” e, mentre l’occidente moderno vede l’ego come la cosa più importante, lui ha preferito sottolineare l’importanza del Sé. Questo è il suo più grande contributo. Ma noi non possiamo dimenticare il fatto che Jung ha dato al Sé una natura estremamente paradossale. Lui ha detto che il Sé è il “Centro” ma ha anche enfatizzato il suo essere “il Tutto”. Mi piace questo aneddoto: alla domanda “Cos’è il Sé, Jung rispose: “Tutti voi”. E non è facile fare integrare fra loro così tante persone”… se si pensa di prendere a modello la situazione totale (= dove la coscienza di Oriente e Occidente si integrano), che comprende gli individui e insieme a loro anche pietre, alberi, fiumi, vento e altri aspetti della natura, il livello della psicoterapia potrebbe diventare ancora più profondo» (7).

Siamo chiamati a ricercare un punto di incontro dove Occidente e Oriente possano interloquire e integrare le loro coscienze per riuscire a comprendere l’uomo nella sua totalità.

Giuseppe Fojeni


Bibliografia e note

  1. C.G.Jung, Esperienza e mistero, Bollati Boringhieri, p.154, 2019.
  2. P.Cozzaglio (a cura di), Dialoghi con il sogno, Zephiro Edizioni, p.40, 2008.
  3. P.Cozzaglio, M.Cutrale, Il pensiero amato, Zephiro Edizioni, p.59, 2013.
  4. P.Cozzaglio (a cura di), Dialoghi con il sogno, Zephiro Edizioni, p.42, 2008.
  5. H.Kawai, Il buddismo e l’arte della psicoterapia, Moretti e Vitali, p. 27, 2004.
  6. S.A.Sabbadini, Pellegrinaggi verso il vuoto, Lindau, p.264, 2015.
  7. H.Kawai, Il buddismo e l’arte della psicoterapia, Moretti e Vitali, p. 151, 2004.

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