La musica della vita: un’armonia di bianco e nero 1

Suggestioni dal libro di Murray Stein, Elena Caramazza: Temporalità, vergogna e il problema del male Moretti & Vitali, Bergamo, 2019.

“Immaginate una vita priva di coincidenze significative capaci di trasportarci in direzioni del tutto nuove; un mondo in cui ogni cosa sia totalmente e rigidamente prevedibile; un mondo senza la creatività e la sorpresa, senza fratture, senza la meravigliosa possibilità di un incontro fortuito con un estraneo che si riveli decisivo per trasformare la nostra vita”

Questo scrive Murray Stein nel testo “Temporalità, vergogna e il problema del male” scritto a quattro mani con Elena Caramazza; un dialogo di lettere e riflessioni tra i due autori scaturito da una conferenza di Stein dal titolo “Musica per il tempo che verrà – La lezione di piano di Wolfang Pauli”, conferenza alla quale Elena Caramazza, pediatra e analista, aveva partecipato.

Ci si chiederà che cosa c’entra la musica, il pianoforte in un testo che mette a confronto linguaggi e prospettive distanti e spesso contrapposte, dato che si nomina W. Pauli, grande fisico del Novecento (premio Nobel).  D’altronde, Pauli ebbe rapporti con C.G. Jung iniziati per una crisi profonda della sua esistenza; il pianoforte c’entra perché un’immaginazione attiva (metodo di fantasia attiva sull’inconscio utilizzato da Jung), permette a Pauli di dare una risposta simbolica: con la musica, suonata con i tasti bianchi e neri, è possibile realizzare un’armonia, cioè si potrebbe conseguire l’obiettivo “di un concetto che unifichi la fisica quantistica e la psicologia del profondo, ossia la causalità e la sincronicità, il tempo e l’eternità, perché sia un’ipotesi per il futuro”  (Stein, Caramazza, 2019, p. 18).

Non è un caso che Pauli dia una risposta simile durante il processo di un’immaginazione attiva  (“Lezioni di piano”) perché è proprio attraverso ogni forma di contemplazione, meditazione o preghiera – viste come dialogo che trascenda la realtà – che l’Io può entrare in contatto col Sé, e le distinzioni (tasti bianchi e neri) si accordano con un pianoforte (l’essere umano)  per suonare  un unico “brano musicale”; in altre parole, i due principi dell’esperienza – causalità e sincronicità – possono fare sintesi per la sinfonia della vita.  

Ma andiamo per ordine: i concetti sono complessi e abbracciano l’esistenza in toto del soggetto in senso evolutivo. Proviamo a dipanarli man mano.

Lo scambio epistolare tra Pauli e Jung che viene riportato dagli autori del libro  verte sul concetto di tempo (inscindibile dallo spazio). La sfida è quella di coniugare un tempo quantitativo (quello calcolabile della fisica, lineare, causale) col tempo di natura qualitativa, definito dagli antichi “un tempo nel mezzo” o da Sant’Agostino “estensione dell’anima”. Nella mitologia greca, il primo è detto Kronos, raffigurato come un titano colto nell’atto di divorare la sua prole, di divorare ciò che egli stesso genera; il secondo è chiamato Kairòs, raffigurato come un giovane con le ali sulla schiena e ai piedi, che regge una bilancia che egli stesso con un dito disequilibra.

Pauli scrive: “… la possibilità delle leggi della natura mi è sempre sembrata fondarsi sulla coincidenza archetipica… Gli studi di Jung sui “Fenomeni inesplicabili” con la sua dissertazione “Psicopatologia dei fenomeni cosiddetti occulti” sono connessi all’interpretazione archetipica della sincronicità. Secondo questa interpretazione, l’archetipo alla base dei fenomeni di sincronicità sarebbe un coordinatore della realtà psichica e materiale dove la coordinazione si sviluppa secondo il loro significato comune” (Tagliagambe, Malinconico, 2011, p. 34).

Il fisico, citando Jung, afferma che psiche e materia appartengono a un unico mondo, in contatto permanente e supportate da fattori trascendenti incomprensibili. Avanza l’ipotesi che materia e psiche siano due aspetti diversi della stessa ‘unità’. I fenomeni sincronici sembrano confermare che il ‘non psichico’ potrebbe comportarsi come ‘psichico’ e viceversa, senza una relazione causale fra i fenomeni.

È affascinante come i percorsi della fisica -grazie alla genialità di Pauli, che ha colto le trame della psicoanalisi nelle riflessioni di Jung sull’alchimia, sugli archetipi e sull’inconscio, e all’acume di Jung, che elabora una rottura del principio di causa-effetto, con il concetto di sincronicità- possano intrecciarsi con quelli della psicoanalisi. Concetti apparentemente astratti diventano dimostrabili a livello scientifico, dove nulla è casuale, ma connesso in modo significativo e con un senso.

E così la fisica quantistica consente di portare il concetto della causalità dall’ambito infinitamente piccolo delle particelle all’ambito macroscopico del nostro mondo (con il fisico Erwin Schroedinger, e il suo esperimento paradosso del gatto vivo e insieme morto); la visione passa da una legge che “misura” a una che vede mondi multipli e insieme unitari, sposandosi alla psicologia del profondo con i suoi significati anche inconsci, che si danno nel tempo che scorre e che è. La qualità di questo tempo (Kairos), denominata da Jung sincronicità, dipende da qualcosa che accade e dal soggetto che legge e nomina in modo riflessivo e vigile quel che accade.

Lo stesso temine Kairos viene usato frequentemente dal teologo luterano Paul Tillich nella sua interpretazione della storia (The Interpretation of History), come a definire quelle crisi nella storia dell’uomo che creano un’opportunità ed esigono una decisione esistenziale da parte del soggetto, come “momenti giusti o opportuni”, propizi da cogliere.

Il Kairòs dipende da una riflessione e non è sottoposto al gioco dell’occasione, ma svolge sempre un ruolo decisivo per il futuro, nelle situazioni imprevedibili ed insolite.

Kairòs è “un tempo nel mezzo”, come dicevano gli antichi Greci, perché si trova contemporaneamente al centro di due concetti: l’azione e il tempo, la competenza, l’efficacia e la possibilità, l’universale e l’individuale. Questa indeterminatezza tra azione e tempo si collega al concetto di sincronicità: permette di trattenere per ogni situazione gli aspetti necessari all’azione, lasciando all’evoluzione il suo svolgimento.

 Per questo è così difficile da afferrare nell’esperienza e nella comprensione: perché è “ciò che è perché così è quale momento necessario al superamento del limite, della vecchia coscienza” (Montefoschi, 1996, p. 439-40).

Spontaneo viene il pensiero di questo Kairòs esistenziale che stiamo affrontando, quello della pandemia, dove sembra che ancora una volta si scelga l’aderire al Kronos, da cui non può che derivare ansia (tempo vissuto come vuoto) e ribellione per nuovi adattamenti e ritmi imposti. Ma se si lasciasse spazio al tempo interno, per incontrare l’al di là del tempo, e alla riflessione di quel che accade (vedendolo come sincronico) si potrebbe dare una qualità a questo tempo.

Il concetto complesso di tempo in questa visione di integrazione tra la dimensione della materia e della psiche, approfondita nel testo di Stein e Caramazza, si riflette anche nella dimensione spirituale del pensiero di R. Panikkar, gesuita, filosofo, ponte tra cultura orientale e occidentale, e tra le religioni.

Anche in Panikkar appare un’inscindibilità tra due concetti che apparirebbero come inconciliabili: la dimensione dell’eternità (che in sé dovrebbe essere un tempo non definito, per cui infinito) e quello relativo al tempo della materia, apparentemente statico e definito. Panikkar conia a questo proposito il neologismo “tempieternità”.  Questa connessione tra temporalità ed eternità è la possibilità di cogliere come tempiterni i momenti, che si sviluppano non linearmente ma come unità di un tempo dell’essere (il tempo della creazione) e dell’esserci. Il soggetto è “là-dove-esso-è, nel suo Daisen-in (tempio) noi siamo qualcosa di più che soggetti mossi dal tempo, ma soggetti che hanno qualcosa di straordinariamente importante: l’unicità” (F. Comina, 2011, p. 57).

La consapevolezza di essere unici permette di vivere il qui e ora nel presente come eternità e cogliere la felicità. Infatti, non è esperienza di ciascuno che un tempo vissuto intensamente diventi un tempo a-storico, potremmo dire “tempiterno”?

Un simile pensiero appartiene anche a quello di “punto momento e nella continuità” di una vita infinita, di Silvia Montefoschi visto come un processo dinamico in continua evoluzione, aperto al nuovo e all’inaspettato, che sovverte costantemente il già dato dell’esserci, dove l’esistenza personale non è che la manifestazione dell’Essere.

Nello stesso testo che stiamo prendendo in esame possiamo riscontrare altre affermazioni relative agli aspetti della temporalità (cronicità/acronicità; sincronicità/ discronicità) visti come paradigmi visibili anche della pratica clinica e delle relazioni diadiche (bambino-caregiver e coppia)

Un’altra interessante riflessione viene proposta da Elena Caramazza, grazie alla sua esperienza di analista pediatra, relativamente ai prodromi della sincronicità. Queste riflessioni sottolineano come la sincronicità (“sintonizzazione” secondo altri autori) diventi modalità relazionale fondamentale dalla prima infanzia. Infatti, durante l’evoluzione del soggetto, questa esperienza permetterà una regolazione affettiva, una capacità di modulare impulsi ed emozioni, il sentire una continuità della relazione, un fare memoria e insieme un dinamismo, un mutamento del proprio esserci.

“Noi siamo il movimento della vita in perenne mutamento” (Montefoschi, 1996, p. 455).

Mimma Cutrale e Maria Luisa Tricoli


bibliografia

  • Comina F. (2011) Il Cerchio di Raimon Panikkar. Ed. La Meridiana, Molfetta (BA).
  • Montefoschi S. (1996) L’essere vero. In Opere, vol. 4.  Tipografia G. Olivieri, Roma.
  • Rovelli C. (2020) Helgoland    Ed. Adelphi, Milano
  • Tagliagambe S., Malinconico A. (2011) Pauli e Jung-Un confronto su materia e psiche.  Raffaele Cortina Editore, Milano.

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