John Bargh é l’autore di “A tua insaputa – la mente inconscia che guida le nostre azioni”, edito da Bollati Boringhieri, nel 2018, nella traduzione italiana curata da Sabrina Placidi.
Oggi è considerato uno dei maggiori esperti mondiali della mente inconscia. Nel suo libro, egli raccoglie il risultato ottenuto in più di 30 anni di ricerche sui meccanismi mentali che, nascostamente, dirigono ogni nostro comportamento, (quelli delle relazioni sociali come la genitorialità, quelli degli affari economici, quelli correlati ai gusti personali), nei contesti più diversi, comuni e familiari.
John Bargh ci fa scoprire che noi non siamo i capitani della nostra nave e ce lo dimostra raccontandoci, in modo accattivante, aneddoti ed episodi della sua vita personale e sciorinandoci, fin nei dettagli, gli esperimenti utilizzati in laboratorio per la raccolta dei dati delle sue ricerche. Da convinto sostenitore di quanto sia importante, su un piano individuale, ma anche certamente sociale, conoscere sé stessi, ci guida attraverso esperienze insolite, semplici quanto complicate, di psicologia sociale e ci conduce a risultati sorprendenti, inattesi, su come siamo fatti e funzioniamo, e su come migliorare.
Il suo lavoro approda ad una forte evidenza: l’inconscio ci guida di nascosto nei campi più disparati. Esso non dorme mai e si alterna al conscio, offrendogli con i suoi tratti peculiari di rapidità ed intuitività, un formidabile aiuto in molti casi e situazioni problematiche: esso fornisce le basi utili al conscio per migliorare la nostra esistenza.
B. si è posto l’obiettivo di capire quanto libero arbitrio e quanto controllo esercitiamo davvero su ciò che pensiamo, proviamo e facciamo. Osserva, sul concetto di inconscio che noi siamo soliti pensare in virtù del forte retaggio cartesiano e freudiano, che ciò che è conscio è buona cosa e ciò che non è conscio non lo è, ma questa, a suo modo di vedere, è una semplificazione pressoché estrema ed errata.
Gli studi e le nuove tecniche di imaging cerebrale, sottolinea, oggi ci consentono di affermare che possediamo una mente unica e unificata, che opera in modalità e conscia ed inconscia, e che la mente nascosta, ovvero i processi mentali attivi al di là della nostra consapevolezza ed intenzione, esiste per esserci utile. Ci fa riflettere sul fatto che, se l’inconscio esiste (ed esiste) e se è evoluto (e si è evoluto), è perché ci ha aiutati a sopravvivere e a prosperare. Ci ricorda, inoltre, che esso può sviarci, se non siamo consapevoli della sua influenza sui nostri comportamenti. Infine rileva che anche la nostra mente cosciente si è evoluta e questo le permette di agire come fosse una timone preposto ad un ulteriore controllo, di tipo strategico, sui meccanismi inconsci. «Soltanto quando integriamo attivamente sia le dinamiche consce che quelle inconsce, le ascoltiamo e facciamo un buon uso di entrambe, possiamo evitare le insidie provocate dall’ ignorare metà della nostra psiche». (pp. 29)
Il B. organizza il suo discorso sulla distinzione, rispetto al tempo, di un passato, un presente ed un futuro.
Fin dai primordi dell’umanità, i nostri sistemi cerebrali inconsci di tipo adattivo si sono formati ed affinati e ci hanno consentito di far fronte a mille pericoli e alle infinite difficoltà che la vita presentava, in vista della sopravvivenza (caso di Ötzi) e, insieme all’istinto all’accoppiamento, in vista della trasmissione ai posteri, dei propri geni.
Di questo passato dell’umanità noi singoli esseri umani alla nascita non abbiamo memoria; tuttavia, nasciamo con una dotazione di serie; non siamo una tabula rasa. Ci caratterizzano, infatti, due impulsi fondamentali: di sopravvivenza e di accoppiamento. A questi, se ne aggiunge un terzo: l’istinto di cooperazione sociale, utile in egual misura ad entrambi i precedenti.
Per far sopravvivere i propri geni, l’essere umano si avvale del sistema “Fight or flight”, “combatti o fuggi” e di altri meccanismi innati che servono ad evitare i pericoli, come la paura del buio o la paura suscitata da un forte rumore.
Infatti, da bambini, fino ai quattro anni, la presenza in noi umani di impulsi e tendenze fondamentali di tipo evolutivo ci è di enorme utilità per la sopravvivenza.
Se, nel seguito, iniziamo a sviluppare un controllo cosciente ed intenzionale sulla nostra mente e sul nostro corpo, perché dovremmo sottovalutare e abbandonare quanto di buono e vantaggioso per noi abbiamo già maturato e proficuamente utilizzato fino a quel momento?
«La coscienza non è un’altra mente o una mente di tipo diverso, che un giorno è apparsa dal nulla per magia. È una fantastica aggiunta all’antico armamentario inconscio già esistente in noi. Quell’apparato originario esiste ancora dentro ognuno di noi, ma l’avvento della coscienza ci ha fornito modi nuovi per soddisfare i nostri bisogni e i nostri desideri, la facoltà di sfruttare in maniera intenzionale e deliberata il nostro antico ingranaggio interiore» (pg. 49).
Bargh rileva che oltre al passato storico evolutivo, il nostro inconscio comprende anche quanto contenuto nella nostra memoria implicita (il passato non registrato; ad esempio il vissuto di fiducia tradita all’interno della famiglia di origine; ricordiamo, in Dante, il ghiaccio e gelo che egli pone nella Caina e ricordiamo anche il test del bicchiere caldo, nel quale la sensazione di calore sperimentata tenendo in mano un bicchiere di caffè caldo si è visto che predispone positivamente la persona nella situazione in cui si troverà successivamente.
Inoltre, il nostro inconscio comprende anche genericamente il rimosso di cui parla Freud: il passato dimenticato.
«La nuova scienza dell’epigenetica è in prima linea nella comprensione dei meccanismi con cui questo processo di adattamento genetico ( il corsivo è mio) avviene nelle nostre menti e nei nostri corpi e le sue scoperte si possono riassumere in questo modo: diventiamo ciò che diventiamo non solo grazie al nostro DNA o al nostro ambiente, ma anche alla loro interazione» (pg. 83).
È dall’ interscambio tra geni e cultura che prende forma il nostro destino.
Un particolare sistema di funzionamento della nostra mente è il priming time, per il quale i fatti in corso sono influenzati da quegli che ci sono accaduti in un tempo precedente e sono inerenti la cultura in cui, come fossimo pesci, siamo immersi (vedansi: stereotipi, pregiudizi, “effetto Pigmalione”…). Il background culturale respirato in piena innocenza nei primissimi anni della nostra vita opera per tutta la nostra vita adulta, dietro le quinte di ognuno di noi al pari di un invisibile burattinaio, finché non ne prendiamo coscienza.
Altro interessante sistema di funzionamento della nostra mente è l’ “effetto curry over” di un’esperienza su quella successiva. Potremmo dire che la vita, come dice Bargh, è fatta di dissolvenze, ovvero di esperienze che esistono nella nostra mente mentre già una nuova esperienza sta insediandosi in essa. Ne consegue una confusione, importante, nella decodifica, ad esempio, delle emozioni, un errore di attribuzione: un soggetto può attribuire lo stato di eccitazione che avverte in sé come dovuto all’esperienza in atto, piuttosto che, come dovrebbe correttamente fare, a quella precedente. Un classico caso di curry over è quello dell’influenza sul nostro umore delle condizioni meteorologiche. Questo, perché il calore ambientale ha un parallelismo importante nel calore sociale e nel vissuto di inclusione o esclusione che possiamo sperimentare socialmente. Si è verificato, ad esempio, che tipico della depressione è anche il malfunzionamento del sistema di raffreddamento corporeo: per questo, il calore solare ambientale può sopperire ad un deficit di calore sociale. Il mondo cambia più in fretta di quanto faccia la nostra mente e «la vita continua a riecheggiare nella nostra mente» (pg.163) più di quanto faccia nella realtà, rendendoci più vulnerabili alle scelte sbagliate.
Dice Einstein che l’unico momento che davvero esiste è il presente, ma Bargh aggiunge che il presente non sempre è solo presente, esso è anche “nascosto”!
Noi pensiamo di sapere perché facciamo o non facciamo una cosa; ma sul nostro presente incide la nostra memoria che, obbedendo alla propria funzione evolutiva, lavora in maniera inconscia secondo un meccanismo di valutazione e di discernimento tra buono e cattivo, inducendoci immediatamente ad andare o restare. Si è visto, inoltre, che più spesso incontriamo una cosa e questa cosa non ci danneggia, più sviluppiamo per essa una simpatia, una preferenza (“effetto esposizione”); inoltre, che il senso di appartenenza e familiarità (perfino come assonanza o consonanza nei nomi) ci fa fare cose che, in loro assenza, proprio non faremmo mai (vedansi, ad esempio, il comportamento degli Italiani all’estero o “l’effetto egotismo implicito”, ovvero la nostra predilezione per persone e cose che ci somigliano). Attenzione, dunque, al “lombrosismo”, perché, in quanto inconscio, può ingannarci!
Ancora un’attenzione particolare dobbiamo porre sulla nostra inconsapevole propensione a passare dal giudizio di bello a quello di buono.
Qualche pagina, interessante davvero, Bargh riserva agli sport come “luogo” pressoché privilegiato in cui l’inconscio può molto, perché lì si reifica, come in una rivisitazione rituale in chiave moderna, il rapporto archetipico tra noi contro loro, ovvero tra tribù (vedasi “Il Signore delle mosche”).
Rispetto a questo aspetto specifico, è di conforto apprendere che, se noi tifiamo per delle maglie, piuttosto che per individui/giocatori, non sarà difficile trasformare l’antipatia in simpatia, somministrando a tutte le persone coinvolte nella contesa, degli obiettivi comuni (ad esempio la cogenitorialità tra coniugi separati; per combattere la pandemia, l’uso scrupoloso dei presidi medici da parte dell’intera popolazione).
All’incirca a metà del volume, Bargh si chiede, lui per noi, se ci possiamo fidare degli istinti.
«Siamo cablati per fidarci dei nostri sensi, per non dubitarne: l’ alternativa – non fidarci dei nostri sensi e dubitare – vuol dire essere psicotici, che però è una condizione terrificante» (pg. 205).
Indi il nostro autore ci fornisce le regole, otto, da avere presenti per decidere quando fidarci degli istinto, regole che, qui ora riporto:
1 – «Quando si ha il tempo per farlo, bisogna integrare il primo impulso con almeno un po’ di riflessione consapevole» (pg. 207)
2 – «Quando non c’è tempo per riflettere, se il rischio è tanto e il vantaggio è poco, non bisogna affidarsi solo agli istinti, bisogna essere consapevoli della posta in gioco» (pg. 208)
3 – «Quando ci si trova di fronte a una decisione difficile in cui entrano in gioco molti fattori e in particolar modo quando non si dispone di misure oggettive, ovvero di dati certi, relative a questi fattori, le proprie sensazioni di pancia vanno prese sul serio» (pg. 218)
4 – «Bisogna stare attenti a ciò che si desidera, perché gli obiettivi e i bisogni del presente influenzano ciò che desideriamo e amiamo in questo momento» (pg. 219)
5 – «Se la prima reazione di istinto verso un individuo di un’altra razza o etnia è negativa, si deve cercare di reprimerla» (pg. 221)
6 – «Non è mai affidabile valutare le persone solo dal volto o da una fotografia se prima non si è interagito con loro» (pg. 222).
7 – «Ci possiamo fidare di ciò che l’istinto ci dice delle persone, ma solo dopo che abbiamo visto come si comportano» (pg. 228).
8 – «È assolutamente legittimo che l’attrazione fisica abbia un peso nelle relazioni sentimentali, ma non va bene che sia l’unica componente o la principale» (pg. 232)
In sintesi Bargh ci consiglia di ascoltare quello che ci dice la pancia, di prenderlo sul serio e di tenerne conto, ma ci sollecita anche a controllare due volte quello che facciamo e a dare sempre al prossimo una seconda possibilità.
Personalmente, ho sentito particolare interesse per quella che viene nominata la “sindrome di dipendenza ambientale”, anche detta “sindrome di Lhermitte”, secondo la quale “ogni mente umana […] è una sorta di specchio che produce comportamenti potenziali che sono il riflesso delle situazioni e degli ambienti in cui ci troviamo”. A nostra insaputa facciamo quello che il luogo intorno a noi ci suggerisce. Non solo; in un certo senso, come un bicchiere pieno d’acqua su cui posiamo lo sguardo ci dice: “Bevimi”, potremmo anche sostenere che il comportamento che osserviamo in una persona ci suggerisce di imitarlo (“effetto camaleonte”). Non possiamo non rilevare quanto l’effetto camaleonte sia importante nei bambini, per la loro integrazione ed evoluzione sociale. Ed altresì, non possiamo non cogliere che lo stesso favorisce enormemente la collaborazione e cooperazione con gli altri. L’imitazione è ciò che perfino ci rende reciprocamente più simpatici! Ma il maggior utilizzo benefico di questo effetto per noi, sta nel fatto che possiamo avvalercene per modificare gradualmente i comportamento degli altri, anche dei criminali… seppur non sempre riuscendoci. Per natura noi siamo portati al “mimetismo empatico”, ma possiamo utilizzarlo anche consapevolmente: ad esempio, per creare, consolidare legami interpersonali. Ci fa sorridere Bargh quando ci dice: «Attenti a chi sposate, perché finirete per assomigliargli!» (pg. 251), ma siamo certi della bontà del suo consiglio. L’ “effetto contesto” e la nostra propensione all’imitazione sono gli elementi su cui si fondano anche le nostre “identità situazionali” (pg.163), ovvero quei nostri modi, positivi o negativi, di essere comunque diversi, a seconda del contesto in cui ci troviamo: le nostre subpersonalità (ad esempio, la casalinga…). In sostanza, “gli effetti del nostro comportamento sugli altri, e quello degli altri su di noi, dipende in ultima istanza da noi”. (pp. 271). A tal proposito, val bene la pena di ricordare che una goccia può diventare un’onda.
Nell’ottavo capitolo del suo libro Bargh ci chiama ad attivare una viva, sollecita, attenzione ai nostri desideri, perché essi ci modificano nella mente, nei sentimenti, nei nostri valori. Ci ricorda il “diletta dei beni comuni”, che è un classico problema della sociologia politica e ci introduce ad esso, narrandoci dell’ “effetto cobra”, verificatosi a Città del Capo quando, la cittadinanza, invogliata con lauta ricompensa a catturare e consegnare i serpenti, pensò che potesse ricavare maggiori utili se ne avesse promosso anche l’allevamento.
Anche in quest’ambito, tutto avviene senza che noi se ne abbia consapevolezza, come nell’esempio dello studente che, pensando alla propria madre e desiderando essere per lei motivo di orgoglio, si applica maggiormente nello studio e ottiene risultati scolastici migliori. L’obiettivo del successo e della prestazione, però, può portare anche ad un mancato rispetto delle regole (raccontino dei seminaristi che ignorano un pover’uomo accanto al quale passano per raggiungere al più presto possibile l’aula scolastica dove sanno che andranno ad ascoltare una lezione sulla parabola del buon samaritano. Inoltre, la ricerca del successo può toccare aspetti delicati e problematici della vita, come ad esempio, quello delle molestie sessuali con l’oggettificazione sessuale dei sottoposti. Il nostro autore entra anche nel merito dell’esercizio e della gestione del potere all’interno della famiglia, e su come sia (e così penso debba essere) tipico dei genitori, anteporre gli interessi dei figli ai propri. L’ottavo capitolo, nella conclusione ci sprona a non farci dirigere dalla rabbia che potrebbe svilupparsi in noi a causa di questioni di potere e potrebbe spingerci ad augurare del male al prossimo, perché l’augurio da noi formulato a danno di altri, potrebbe tornarci addosso.
Un aspetto dell’ampio discorso di Bargh sull’inconscio, la sua natura e le sue funzioni, che promuove certamente un positivo e fiducioso interesse per come noi funzioniamo, è il rapporto tra inconscio, creatività e genialità, e mondo onirico: quando la mente conscia pare inattiva, in effetti l’inconscio, che non dorme mai, cerca per noi soluzioni ai problemi che ci inquietano e ci tolgono il sonno e, insieme – ognuno mettendo in campo la propria specificità e funzionalità, come fossero attori in un abile passaggio di palla – promuovono il nostro benessere.
Simpaticamente, il Bargh ci racconta, a mo’ di esempio assolutamente comprovante la validità del suo punto di vista, di come egli stesso debba ad un suo curioso sogno su un alligatore che gli si mostrava mentre si capovolgeva nelle sue acqua limacciose, palesandogli la propria pancia bianca, il fatto di aver intuito e poi studiato in modo appassionato ed indefessamente, la natura ed il funzionamento dell’inconscio, fino a diventare, ed essere riconosciuto, uno dei maggiori esperti in tale campo. L’aspetto molesto dell’inconscio, che nottetempo ci toglie il sonno, a ben guardare, spesso si può rivelare a noi particolarmente propizio! Gli obiettivi che per noi davvero contano, vengono a nostra insaputa presi in carico dal nostro inconscio che collabora “diligentemente” col conscio, fino al raggiungimento della giusta soluzione. Non riteniamo di doverci dilungare oltre coi nostri lettori, ma, se siamo riusciti a suscitare in loro un certo interesse per l’opera di Bargh, ne consigliamo la lettura e, perché no?, consigliamo a chi ci ha seguiti fin qui, di “dormirci sopra”, facendo nostro, in sintesi, il punto di vista di Bargh stesso.
Laura Zecchillo
Bibliografia
- John Bargh, A tua insaputa – La mente inconscia che guida le nostre azioni, 2018 Bollati Boringhieri.