Il lavoro analitico è orientato verso la conoscenza e tramite questa è possibile il superamento delle proprie difficoltà nonché il raggiungimento delle proprie potenzialità. Punti cardinali dell’operare analitico sono il transfert e l’intersoggettività.
Con Freud il transfert si è presentato come la riproposizione di desideri più o meno rimossi, non attuati, che il paziente convoglia sull’analista.
Si è poi visto che tramite questi vissuti transferali l’analista può conoscere meglio il suo analizzando e dall’utilizzo che ne viene fatto l’analisi può assumere un certo orientamento e una certa definizione.
Del transfert si è poi tenuto in particolare conto l’aspetto emozionale.
Il transfert viene rappresentato da una notevole energia che il paziente investe sull’analista e questi a sua volta non può che rispondere, chiamando in campo altre energie come reazione.
Tale reazione è chiamata “controtransfert”, ossia le reazioni emotive dell’analista. Inizialmente il controtransfert è stato visto come un intralcio, una difficoltà alla comprensione da parte dell’analista, in quanto si temeva che dal controtransfert sarebbero scaturite forze che si sarebbero potute opporre alla sua lucidità e quindi al buon andamento del processo analitico.
Si consigliava quindi all’analista di mantenere un distacco privo di implicazione emotiva, in altre parole di tenere sempre un atteggiamento assolutamente neutrale e una visione fredda della situazione.
Si è visto invece che queste forze transferali fornivano all’analista un notevole aiuto per comprendere meglio il suo paziente e i vari fenomeni che succedono nel setting.
Tutto questo veniva a favorire il migliore andamento dell’analisi, vitalizzando maggiormente il rapporto e renderlo trasformativo.
A un rapporto freddo e distaccato subentra così un rapporto caldo e costruttivo.
Tutto questo Freud lo aveva già intuito e compreso, dice infatti “è l’inconscio dell’analista indispensabile strumento della comprensione analitica (1910)”. Afferma così subito il ruolo dell’inconscio dell’analista e vi colloca la base dell’ascolto analitico.
Accenna al controtrotransfert con la sua doppia valenza, ambigua e contraddittoria, di strumento che può rendere ciechi ma che può anche aiutare a vedere meglio. Da qui il suggerimento di Freud di mantenere una libera attenzione fluttuante ed aggiunge “il medico deve rivolgere il proprio inconscio come un organo ricevente verso l’inconscio del paziente che trasmette (1912)”.
Freud insiste molto sulla relazione fra l’inconscio dell’analista e l’inconscio del paziente e di come l’uno possa venire influenzato dall’altro. Pensa addirittura che in questa comunicazione di inconsci qualche volta possa venire escluso il conscio (1915), infatti più tardi, accennando a fenomeni telepatici, ipotizza una comunicazione tra inconsci, che”salta completamente i livelli di coscienza (1921)”.
Nel rapporto analitico comunque l’impostazione classica, ossia quella in cui il paziente sia l’oggetto del conoscere e l’analista l’osservatore neutrale,è stata presto superata in quanto avrebbe svalutato enormente la dimensione interpersonale, mentre è proprio su questa che ci si deve basare.
Già Rycroft (1958) aveva considerato il rapporto analitico come un rapporto tra due persone, piuttosto che una situazione in cui una persona osserva un’altra persona.
Rackert (1957), nei suoi studi sistematici sul controtransfert, critica il mito della neutralità ed evidenzia come un tale procedimento potrebbe creare nell’analista notevoli ostacoli, come ad es. il riconoscere al momento opportuno sue eventuali difficoltà personali. Aggiunge poi che anche quando le reazioni controtransferali assumono modalità patologiche (nevrosi da controtransfert), hanno comunque un’utilità che permette meglio la comprensione del transfert e del rapporto che si sta venendo a instaurare. Va da sé che tali modalità patologiche vanno tenute sotto controllo e richiedono un pronto intervento terapeutico.
Dell’aspetto controtransferale si sono notevolmente occupati gli analisti kleiniani e fra questi la Heimann (1950),che a proposito delle emozioni suscitate nell’analista dall’impatto col paziente afferma che tali emozioni sono “ più vicine al nocciolo del problema, di quanto non lo sia il suo ragionare”.
Winnicott (1960) riconosce la presenza dei sentimenti controtransferali,sia positivi che negativi, ed aggiunge che tale presenza non solo non arreca danno, ma vivifica il rapporto e ne agevola la chiarificazione.
Kernberg (1965) allarga il concetto di controtransfert e vi include ogni rilevante coinvolgimento emotivo dell’analista nei confronti del paziente. Egli osserva anche che dietro la cosiddetta neutralità dell’analista per lo più si nasconde la “ paura dei propri sentimenti e questo non può che fare diventare il clima analitico rigido e poco spontaneo”.
Searles (1965) riconosce l’importanza del controtransfert e ne evidenzia la portata. Pone poi l’accento su come ogni paziente è diverso dall’altro, per cui l’analista deve usare con ciascuno di loro varie modalità di intervento.L’analista viene così mostrato sempre più come l’elemento cruciale della terapia, capace di stare nel rapporto con modalità di volta in volta differenti e come risposta alle esigenze del paziente e del lavoro terapeutico.
Ritornando ai fenomeni di transfert è bene ricordare che vi è anche controtransfert del paziente in reazione ai sentimenti dell’analista, per cui sarebbe meglio parlare di fenomeni transferali tout court.
Comunque il termine classico “transfert” rimane rivolto al paziente, al momento in cui egli trasferisce i suoi conflitti e i suoi sentimenti non maturi sull’analista e viene da questi aiutato a riviverli in una situazione nella quale possono essere risolti.
È bene, anzi è doveroso, che l’analista sappia gestire adeguatamente tali fenomeni, riconoscendoli e padroneggiandoli e sappia altresì riconoscre e gestire i sentimenti che provengano da lui stesso rivolti verso il paziente. Solo così può condurre un buon lavoro analitico, in quanto se li ignorasse o non desse loro la dovuta importanza ci sarebbe il pericolo di poterne essere “posseduto” e ciò avverrebbe a detrimento del lavoro che sta conducendo, quindi a detrimento del paziente e suo personale.
Rendendosene conto può tenere sempre la situazione sotto controllo e al momento opportuno può utilizzare il materiale presentatosi : tutto questo deve avvenire non solo in modo razionale e scientifico ma anche in modo emozionale.
Jung aveva accentuato notevolmente tale posizione e aveva basato il rapporto analitico nella interazione fra i due soggetti,analista e paziente, paragonando il loro interagire a un processo alchemico, vedi “ Psicologia della traslazione (1946)”.
Entrambi i soggetti, così agendo, si avviano verso il processo della conoscenza e della guarigione e permettono alla coscienza di evolversi e individuarsi.
Silvia Montefoschi, specie nel suo lavoro “L’uno e l’altro (1977)” , basa l’incontro analitico nell’interazione fra i due soggetti, paziente e analista, e pone i due soggetti sullo stesso piano. Posizione questa che si viene ad acquisire durante il percorso analitico, “dall’interdipendenza all’intersoggettività”.
Il risultato è la trasformazione non solo del paziente ma anche dell’analista: entrambi diventano così soggetti di loro stessi. I loro sentimenti transferali, che in tale stadio hanno raggiunto la maturità, permettono ad entrambi di entrare sempre più in contatto con il loro Sé e col il Sé universale e proseguire nel loro processo conoscitivo.
Antonino Messina