” Sono al telefono con Silvia Montefoschi… Le dico che mi manca, che sono in crisi. Lei mi dice che anche dove è lei c’è la negazione del femminile e ci si sta lavorando. Poi è come se mi desse accesso a dove è lei; una presenza maschile mi porta a  una riunione (vedo persone della mia vita che sono morte) dove avviene questo lavoro.”

Questo sogno fatto 2 mesi dopo la morte  di Silvia Montefoschi ha suscitato in me molte riflessioni per cercare di comprendere il messaggio che il sogno  voleva trasmettermi, anzi che voleva trasmetterci, dato che la mia intenzione è stata quella di leggerlo in chiave universale (come Montefoschi mi ha abituata a fare nel riflettere i sogni).

Ho ripensato a tutto il percorso fatto con lei sin dall’inizio della nostra conoscenza, relativo alla presa di coscienza del mio essere donna, dove ancora la  dipendenza  e il sentirmi assorbita da ruoli femminili-materni erano intensi e abituali. Ruoli che poi nel lavoro costante e puntuale con lei si  sono trasformati e che ora rivedo  e riconosco,  radicati  e limitanti, nel lavoro analitico con le persone, soprattutto donne.

Che cosa voleva dire Silvia Montefoschi con “negazione del femminile” in questo sogno?

Ho pensato alla soggettività negata che la donna ancora vive (quando si “riempie” di falli, prole, appagamenti di bisogni per  l’altro e per se stessa) per sopportare una mancanza d’amore, che è il segnale del desiderio della ricerca dell’altro, dell’alterità, ma ancora uguale a se stessa e non diverso da lei; dove la presenza dell’altro sembra essere un riempitivo piuttosto che un completamento . La donna, sentendosi mancante dell’amore, costruisce la propria soggettività alienandola, cioè ponendola fuori di sé in tutti quegli “oggetti” che la rendono Soggetto, colmandola.  E’ il potere del ruolo che demanda all’altro (dove per “altro” si intende il contesto culturale, sociale, l’uomo) le possibilità esistenziali di se stessi. E così la donna nega la sua libertà, il suo esserci, per questa assunzione di ruolo, quasi lo sentisse come una scelta obbligata unica, esclusiva e acritica, non riconoscendo  dentro di sé una modalità di esserci diversa da questa identificazione, che poi diventa la  negazione della libertà anche dell’altro in questo vincolo fusionale.

E’ questa la negazione del femminile?

Allora il femminile nega se stesso identificandosi nell’oggettualità materiale della vita, nell’inconscio, nella dipendenza dall’uomo e dai vari “padri”?

Il femminile si nega nell’atteggiamento oblativo, di dono e di rinuncia, nell’ambito della privatezza degli affetti familiari?

“La donna deve morire come luogo di proiezione dell’oggetto alienato dal soggetto conoscente e come luogo di proiezione del desiderio (desiderio del soggetto di ricongiungersi all’oggetto irraggiungibile)” (da Il Sistema uomo)

Se consideriamo il mito biblico del “peccato originale” la comprensione di questa negazione si fa più chiara.

Il femminile, infatti, si pone come mediatore inconsapevole tra la  forza promotrice di rinnovamento dell’essere, rappresentata dal serpente, e la conoscenza che scaturisce dal cogliere il frutto dell’albero del bene e del male. Il Dio biblico, che rappresenta la fusionalità originaria dell’inconscio, aveva posto il divieto all’uomo di accedere alla conoscenza del bene e del male, rappresentata dall’albero al centro del giardino dell’Eden. In origine i principi maschile e femminile erano inseparati tra loro, come si può evincere dal testo del Genesi 1,27: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. La successiva separazione, narrata dalla nascita della donna dal costato dell’uomo, è ancora tutelata dalla loro inconsapevolezza della differenza, come è specificato in Genesi 2, 21-23, in cui si dice che da un unico soggetto venne alla luce il suo contrario, che a lui si presenta come oggetto: Adamo ed Eva. La nuova conoscenza viene però promossa dal serpente tra i due termini maschile e femminile ancora non separati nella coscienza.

Il peccato “originale” (nel senso quindi di origine della consapevolezza), consistette allora nell’immediata separazione dei due contrari, nell’assunzione delle identità separate dell’uomo e della donna che, resisi consapevoli della loro differenza cercarono immediatamente di “coprirla” come colpa per aver violato l’ordine divino della fusionalità inconscia.

“Si nascosero a vicenda la loro reciproca differenza, e poiché Adamo ed Eva erano una sola persona, fu questa stessa persona che nascose in sé quest’altra da sé che in sé portava (Da “Il sistema uomo”).

La via di ritorno all’inconsapevolezza era però ormai definitivamente interdetta dall’Angelo con la spada di fuoco e, dopo aver mangiato dall’albero della conoscenza. Adamo ed Eva cessarono di essere una sola persona: Eva diventò la donna identificata con la materia, con l’oggettualità, e dell’oggetto della creazione dovette interamente occuparsi, occupandosi di soddisfare i bisogni materiali; mentre Adamo diventò l’uomo che, identificatosi a somiglianza del soggetto creatore (Dio), volle ancora “plasmare” la donna riconoscendo solo in se stesso la funzione conoscitiva, ponendosi dunque come chi dovesse indicare alla donna la via per occuparsi dei bisogni materiali.  L’uomo dunque come soggetto conoscente, separato dalla donna come oggetto conosciuto.

“La donna sente in sé perché sente dentro di sé ciò che l’Essere dice, mentre l’uomo ritiene di essere lui e dice ciò che l’Essere è, e quindi anche ciò che la donna deve dire.” (da Lucifero dinamica divina).  E “ponendo nella donna l’oggettualità è [l’uomo] perse quella energia erotica formatrice della conoscenza: “peccato contro il tutto”. (dal “Sistema uomo”).

La conseguenza del peccato originale è stata di impedire ulteriori spinte evolutive e nel femminile non vi è più la trasformazione fecondante della tensione erotica simbolica della vita, ma solo il dover concepire su un piano naturale, facendosi guidare dall’intuizione e demandando all’uomo la guida della dimensione culturale e spirituale.

E così a entrambi è negata la finalità universale del proprio agire. La distanza data dalla separazione inaugura l’antagonismo, l’inimicizia, la svalutazione tra la donna e l’uomo perché l’altro non viene più riconosciuto come se stesso ma è estraneo e nemico.

Anche Carl Gustav Jung, rileggendo il mito biblico delle origini, aveva teorizzato che Adamo ed Eva, nel nascondersi a vicenda la reciproca differenza di genere, avevano fatto sì che ogni essere umano, maschio o femmina che fosse, dovesse nascondere a se stesso il suo contrario: il soggetto conoscente e l’oggettualità conosciuta. Infatti, il maschile in quanto Logos, lo spirito, la luce, coincide con il conoscente, il soggetto, e il femminile in quanto Eros, l’ombra, la materia, corrisponde al conosciuto, all’oggetto; qualità considerate intriseche dell’uomo e della donna che rimangono così irriducibilmente separate.

Jung riteneva che per arrivare alla totalità della psiche occorresse, al contrario, una nuova coniunctio tra maschile e femminile e che, nella  logica  collettiva, per l’evoluzione delle parti a livello culturale e sociale, occorresse perciò tendere alla negazione delle differenze psicologiche tra i sessi.

La negazione  del femminile è fugata dunque dal superamento di ogni differenza?

Forse il sogno ci vuole dire che ancora si deve lavorare (e lo si sta facendo simultaneamente, sia in questa dimensione, sia dove si “trova” Silvia Montefoschi ora) sul femminile per  superare definitivamente  lo stereotipo che la storia ha generato, concependo  forme esistenziali altre da quelle materiali. In questo modo verrebbe negata la funzione appagatrice che trattiene l’amore all’adesione immediata all’aspettativa altrui, in modo da consentire una nuova  realtà “in  cui la materia entra nella consapevolezza dello spirito e lo spirito si fa consapevole dell’appartenenza a sé della materia”. (dal Sistema uomo).

Riappropriarsi della piena potenza dell’Eros dentro la donna e dentro l’uomo realizza  la finalità creativa del dialogo d’amore.

Se il femminile non nega il proprio modo di essere che da sempre è quello dell’unione, di vivere tutto come intimamente e necessariamente unitario, di sentire l’anima spirituale delle “cose”, di fare conoscenza della realtà vivendola, e si legittima questa logica come una logica di pensiero al pari del pensiero maschile, allora l’altro è l’altra modalità di esserci che insieme a lei diviene.

Come avviene, dunque, la coniunctio auspicata da Jung senza ricadere nell’inconsapevolezza? Qual è il compimento?

Quando la donna e l’uomo dialogano tra loro sul piano del pensiero, riconoscendo la donna la propria capacità di pensare la realtà che sente, senza identificarsi in essa.

“Quando l’uomo e la donna

si incontrano

al di là dello spazio e del tempo

il cielo discende in terra

e la terra ascende in cielo

sì che l’alto si fa come il  basso

e il basso si fa come l’alto

e il pensiero si unisce alla vita

e la vita si unisce al pensiero”

(Il compimento – Silvia  Montefoschi)

Mimma Cutrale


BIBLIOGRAFIA

  • Silvia Montefoschi “Lucifero dinamica divina”, Ed. E.Montefoschi 2000.
  • Silvia Montefoschi “L’evoluzione della coscienza-Dal sistema uomo al sistema cosmico” Opera Omnia 2° (secondo tomo), Ed.  Zephyro.