Il Sé  viene da  Jung  definito come il volume complessivo di tutti i fenomeni psichici, sia nella loro componente conscia che in quella inconscia.

Nella componente conscia il Sé viene rappresentato dalla coscienza, definendo coscienza la consapevolezza di noi stessi.

Per Freud la coscienza è un dato dell’esperienza individuale  ed  ha a che fare con l’intuizione immediata assimilata alla percezione (sistema percezione-coscienza che riceve informazioni sia dal mondo esterno che dal mondo interno).

Ad essere precisi Freud non identifica la coscienza con l’Io ma riconosce un forte legame di appartenenza della coscienza all’Io.

Jung accentua tale legame e vede addirittura l’Io come il soggetto della coscienza.

In altre parole per Jung coscienza viene ad essere tutto ciò che dell’Io comprendiamo e non solo dell’Io ma anche dei nostri processi inconsci, quindi della psiche tutta, intendendo per psiche la totalità di tutti i contenuti psichici, consci ed inconsci.

L’Io viene quindi a definirsi come il soggetto della coscienza mentre il Sé viene a definirsi come il soggetto della psiche: da ciò si viene a dedurre che la coscienza origina dal Sé.

Per il Sé è stata ipotizzata la sua presenza fin dal primo momento dell’esistenza e a quell’epoca lo si è denominato Sé primario o Sé originario: a questo apparterebbe tutto il potenziale innato, archetipico, che un individuo possa esprimere.

Si è anche ipotizzato che fin dagli inizi questo Sé primario abbia una propria organizzazione di difesa che entrerebbe in azione in quelle situazioni in cui nel bambino verrebbe a verificarsi una carenza ambientale, specie nel rapporto madre – figlio.

A tal proposito ricordiamo che le prime esperienze coscienti del Sé derivano dalle percezioni che il bambino ha dalla madre, o da chi per lei, in altre parole queste esperienze derivano dalle interazioni che egli verrebbe a sperimentare. Si evince che da tali esperienze viene a svilupparsi la base del suo atteggiamento verso il Sé e verso l’inconscio in generale.

Tornando al Sé, la relazione che questo ha con l’Io viene a considerarsi di tipo dinamico e  l’Io rimane sempre la sorgente di presa di coscienza e di trasformazione per il Sé (M.Fordham).

In campo freudiano e neofreudiano il Sé è considerato una struttura interna della psiche che viene ad acquisirsi con l’esperienza di vita e che mano mano si investe di energia pulsionale.                     Il Sé, considerato una struttura interna della psiche, non è un’istanza pur investendo tutte le istanze.    Viene in tal modo ad acquistare un carattere suo proprio con la facoltà di diventare determinante, grazie alla notevole energia che lo contraddistingue.

Sappiamo poi che lo sviluppo del Sé dipende dal proprio percepirsi ossia dal buon sentimento che il bambino riesce ad avere di se stesso, sentimento che è correlato al mondo degli affetti (sentimento del sé).

A questo punto ricordiamo che la formazione di un sano sentimento del Sé è legata al rapporto che il bambino ha con la madre. Qualora la madre è sana, si viene e formare un Sé sano, privo di carenze e in buona relazione con il narcisismo sano (Vero-Sé).  Qualora la madre ha delle carenze affettive che si porta dall’infanzia e crede di potere trovare nel bambino la possibilità di poterle superare, cercando in lui ciò che non ha trovato nella propria madre, investe il bambino di tale compito e gli assegna il ruolo di oggetto-Sé e lo investe così narcisisticamente (H.Kohut).                          Il bambino, che ha bisogno di sentire la madre vicina a lui,accetta tale compito e dà nuovi aspetti al proprio Sé che non sono più i propri e viene così a comportarsi da oggetto-Sé della madre,in altri termini sperimenta differenti modi  del suo Sé, ma che non sono genuini (Falso-Sé).

Così agendo il suo Sé regredisce e il suo narcisismo si patologizza (D.W.Winnicott, M.Mahler, A.Miller).

Questo è un aspetto molto importante per la prassi analitica, in quanto ci mostra che è necessario debellare il falso-Sé  e  restituire il vero-Sé  per potere accedere all’individuazione, intesa questa anche in senso junghiano, dove viene definita come la “realizzazione del Sé”.

Ricordiamo poi che per gli junghiani il Sé, oltre ad essere la totalità che ingloba conscio ed inconscio, è un contenuto archetipico e  come tale vissuto al di fuori dall’Io e con caratteri di trascendenza. Per tali caratteri può acquisire aspetti di numinosità con i conseguenziali rischi che questa comporta.

Secondo poi un pensiero psicoanalitico più avanzato, che si muove intorno a Silvia Montefoschi, il Sé viene visto come  progettualità dell’essere che si attua in ciascuna vita individuale nel contesto di un progetto più ampio che trascende il singolo e coincide col disegno di una progettualità universale (Sé universale).

In tale visione l’Io non può più considerarsi solo come il portatore del Sé (Freud, Jung) ma come l’attuatore, in quanto il Sé non viene più visto come qualcosa altro dall’Io ma un tutt’uno (Io-Sé).

Nella prassi quotidiana tuttavia l’Io non deve identificarsi con il Sé  (fusione Io-Sé), ma relazionarsi mantenendo la sua distanza. Proprio in tale relazione avviene la realizzazione del Sé ed è questa che determina l’evoluzione dell’essere. L’uomo viene così a riconoscersi come punto d’arrivo dell’evoluzione e diviene sempre più cosciente di portare nel suo corredo genetico-informativo la storia tutta del pensiero, la storia tutta dell’evoluzione dell’essere nel suo continuo divenire.

A sua volta il pensiero, nella sua continua evoluzione, non può che riconoscersi se non nel superamento del “concetto di dualità”come fa osservare Silvia Montefoschi, che insiste molto su questo e caldeggia l’accelerazione di questo passaggio, passaggio dalla dualità-separazione delle polarità alla loro unicità-integrazione e questo è  possibile in quanto le polarità dei due principi sono costituite della medesima sostanza e non possono che vertere alla loro integrazione (Pensiero Uno).

Tutto questo è in linea col principio dialettico, che ci insegna che fino a quando rimaniamo nella dualità continuiamo ad essere dibattuti fra “tesi” ed “antitesi” e per uscirne lo sbocco può solo avvenire tramite la “ sintesi “.

La sintesi esprime l’unicità. Verrà così superato il principio della contraddizione e gli esseri umani, uomo o donna, nella loro essenza di yiang e di yin, continueranno a dialogare e nel loro dialogare si riconosceranno distinti nell’esprimersi ma tuttavia identici, identici in quanto consapevoli di essere entrambi soggetti pensanti: si muoveranno così dalla dualità, in cui ognuno si riconosce nel proprio genere, per approdare all’unicità, in cui ognuno si riconosce nella propria essenzialità di soggetto pensante e quindi identico all’altro. In tal modo viene attuato il passaggio dalla dualità-opposizione all’unicità-integrazione. Ciò permette all’essere umano di entrare sempre più in contatto col suo inconscio e di riconoscersi nella coscienza dell’infinito divenire.

Antonino Messina