La psicoanalisi contemporanea sembra aver acquisito una terminologia che un tempo le era estranea. Fondata sul costrutto pulsionale freudiano di stampo positivistico, ha subito nel corso del tempo l’influsso di altre discipline e degli impianti filosofici che hanno cambiato la filosofia della scienza. In particolare, ha maturato assiomi propri dei nuovi sviluppi delle scienze esatte (si veda, ad esempio, il principio di indeterminazione di Heisemberg, la fisica quantistica, le teorie matematiche del caos e dei sistemi complessi) e delle scienze sociali e neuropsicologiche (le teorie sistemiche, le ricerche cognitive, gli studi di neuroimaging e le scoperte sui neuroni specchio).
La psicoanalisi contemporanea sembra aver acquisito una terminologia che un tempo le era estranea. Fondata sul costrutto pulsionale freudiano di stampo positivistico, ha subito nel corso del tempo l’influsso di altre discipline e degli impianti filosofici che hanno cambiato la filosofia della scienza. In particolare, ha maturato assiomi propri dei nuovi sviluppi delle scienze esatte (si veda, ad esempio, il principio di indeterminazione di Heisemberg, la fisica quantistica, le teorie matematiche del caos e dei sistemi complessi) e delle scienze sociali e neuropsicologiche (le teorie sistemiche, le ricerche cognitive, gli studi di neuroimaging e le scoperte sui neuroni specchio). In questo modo, termini come “relazione”, “soggetto”, “intersoggettività”, non sono più estranei alla concezione psicoanalitica, indipendentemente dalle differenze di approccio e di appartenenza a una scuola e al riconoscimento in un autore fondatore. Se, da un lato, l’assunzione di nuove terminologie ha allargato l’orizzonte della psicoanalisi, dall’altro, l’uso indifferenziato di nuove voci può ingenerare confusione.
In particolare, il termine “intersoggettività” , spesso abusato senza nessun riferimento concettuale, può generare fraintendimenti e apparire come una idea troppo generica, se non qualunquistica.
Rifacendomi al pensiero di Silvia Montefoschi, a cui attribuisco la riflessione più articolata, ancorché misconosciuta, sull’intersoggettività in psicoanalisi, cercherò di proporre una distinzione semantica del termine, a seconda del riferimento concettuale che sottende e del contesto in cui è usato. Distinguo perciò almeno tre diverse accezioni di intersoggettività: Intersoggettività come campo di relazioni tra soggetti (dimensione sistemico-fenomenologica); intersoggettività come articolazione delle modalità di rapporto nella relazione tra individui (dimensione esistenziale ontica); intersoggettività come articolazione duale del Pensiero Uno (dimensione metafisico-ontologica).
Il primo ambito semantico (non primo in senso storico) in cui è usato il termine intersoggettività in psicoanalisi è quello degli autori, soprattutto americani, che teorizzano la psicoanalisi cosiddetta “relazionale”, o “intersoggettiva” vera e propria. Tra loro Mitchell e Storolow. Essi usano il termine “intersoggettivo” in senso genericamente sistemico e fenomenologico, per indicare l’ambito di interazione complessa tra i soggetti umani in contrapposizione all’isolamento dell’individuo studiato come oggetto. Contestano così il modello pulsionale freudiano che sottintende una idea positivistica della scienza, in cui l’interazione paziente-analista è ridotta alla somma dei rispettivi mondi interni ed esterni dei due: ciascuno con il suo inconscio personale rimosso, le sue esperienze infantili che articolano il transfert, le sue difese, le sue esperienze di vita passata. Non a caso questi autori criticano i punti di vista oggettivati e la terminologia psicoanalitica che implicano l’oggettualità dei contenuti psichici dell’individuo (le pulsioni, appunto) che, nella comunicazione all’altro individuo, sembrano “trasferiti” da un apparato psichico all’altro. Storolow, in particolare, critica in questo senso il concetto di “identificazione proiettiva”. Esso suppone un triplice movimento, come spesso è presentato nei testi che descrivono questo meccanismo di difesa: la proiezione di un oggetto “cattivo” dalla psiche del paziente a quella dell’analista, l’identificazione mediante “assimilazione” dell’oggetto da parte dell’analista (che spesso “sente” come se un corpo estraneo gli fosse penetrato nella psiche), e la ri-proiezione dell’oggetto assimilato sul paziente. E’ chiaro che una simile descrizione comunica un senso di estraneità, anche se di contiguità, tra gli apparati psichici individuali. In una visione sistemico-relazionale questa separatezza non è accettabile e la lettura alternativa è quella di un reciproco influenzarsi nella interazione del rapporto in quanto particolare modalità relazionale che indica una difficoltà di mutua comprensione (o di “sintonizzazione” secondo gli sviluppi più recenti dell’infant research) tra i soggetti in gioco. Non due individui, quindi, che immettono reciprocamente nell’altro contenuti psichici personali, ma due soggetti che co-creano (termine usato da Mitchell) la relazione nel campo intersoggettivo di rapporto. Questa prima accezione di intersoggettività indica perciò il campo di interazione tra soggetti, senza scendere nei particolari delle forze (consce e inconsce) in gioco. Stololow, almeno in parte, cerca di farlo distinguendo tre modalità di inconscio che influenzerebbero le modalità relazionali ripetute nel qui ed ora. In particolare, l’inconscio “non convalidato” spiegherebbe, per questo autore, la non autorizzazione da parte del soggetto a giocare modalità espressive dei sentimenti più profondi che potrebbero costituire dei modi relazionali meno disfunzionali di quelli che caratterizzano alcune patologie (come quelle borderline).
Il secondo ambito semantico di intersoggettività entra più nell’articolazione delle modalità di relazione duale tra soggetti ed è, a mio avviso bene approfondito negli scritti di Silvia Montefoschi degli anni 1977-1982, sino alla pubblicazione di Al di là del tabù dell’incesto. Montefoschi descrive due modalità relazionali di base, contigue tra loro nel campo sistemico dell’intersoggettività considerato dal punto di vista dialettico, che riflettono il rapporto che il soggetto mantiene con se stesso e con l’altro: l’interdipendenza e l’intersoggettività in senso stretto. L’interdipendenza riflette quella che è la modalità immediata di conoscenza della realtà del soggetto individuale, la modalità dialettica che, per conoscere, fa sì che il soggetto ponga l’oggetto di conoscenza fuori di sé e che lo riprenda in seguito come contenuto conoscitivo nuovo che gli appartiene. La modalità interdipendente di rapporto non caratterizza solamente la conoscenza del mondo esterno, degli “oggetti” esterni, ma anche il rapporto che instauriamo con il nostro mondo interno, con ciò che percepiamo come contenuto oggettivato di noi. La differenza tra la modalità “nevrotica” del paziente e quella dell’analista di entrare in relazione con se stessi è proprio quella del senso di estraneità e di passività che ha il nevrotico di vivere la conoscenza di sé; l’oggettivizzazione che egli compie dei propri vissuti psichici vissuti come estranei è ciò che diventa l’oggettività del sintomo, che non è da lui assunto come espressione di un “qualcosa” di sé da conoscere, ma come un “fatto” che lo condiziona e da cui si sente, per l’appunto, dipendente (e che è relegato nell’inconscio quale “luogo” del non conosciuto). Così anche la relazione con l’altro (esterno) assume la stessa modalità di sviluppo e il soggetto sente che, per non perdere la relazione con l’altro, deve adeguarsi facendosi “oggetto” dell’altro, o controllarlo a sua volta come oggetto. La modalità intersoggettiva di rapporto è quella, invece, che il soggetto raggiunge nel momento in cui assume attivamente i propri vissuti quali termini del dialogo continuo che si dà con se stesso e in cui l’inconsapevolezza degli stessi si rende disponibile alla sua coscienza come senso consapevole di ciò che gli accade. Questo spostamento verso l’assunzione consapevole della ricerca di senso del vissuto di passività porta il soggetto individuale a compiere un simile passaggio di prospettiva anche nei confronti dell’altro, dove per “altro” non si intende solo l’altro soggetto umano, ma tutto il vissuto della realtà che gli si dà di vivere. Per Montefoschi il passaggio dalla posizione interdipendente a quella intersoggettiva è una vera e propria rivoluzione copernicana che porta l’individuo a raggiungere il proprio senso di soggettività, in costante dialogo con l’altro, sia che si tratti dell’altro come accadimenti quotidiani della vita, sia che si tratti dell’altro come umano interlocutore, sia che si tratti dell’altro inteso come sociale che costituisce il contesto di relazioni in cui il soggetto si muove. La psicoanalisi è il metodo conoscitivo che promuove il passaggio dall’interdipendenza all’intersoggettività, perché sollecita il soggetto (paziente) a interrogarsi sui vissuti che, fino a quel momento, aveva oggettivizzato quali estranei a sé e a recuperarli come espressione della propria soggettività; tutto questo in dialogo con l’altro soggetto interlocutore (analista) che, ponendosi primariamente come interlocutore che mantiene aperte le domande sui vissuti del paziente e sui suoi stessi vissuti, non accetta di essere oggettivato quale fonte di soddisfacimento immediato del bisogno conoscitivo del paziente. In altre parole, se il terapeuta, tramite il metodo dell’astensione che è proprio della psicoanalisi, non si pone nel ruolo di “chi sa” rispetto al paziente “che non sa”, permette al paziente di uscire dalla posizione di patiens e di rendersi soggetto agens della conoscenza. Montefoschi analizza così in dettaglio le modalità relazionali dell’interdipendenza che condizionano le costanti nevrosi dei rapporti umani: genitori-figli, maschile femminile, modalità isterica e ossessiva del controllo della realtà e del proprio mondo interiore. Questa disamina la porta a ri-definire il metodo psicoanalitico e i topos che lo caratterizzano in chiave radicalmente relazionale intersoggettiva. Setting, neutralità, transfert, controtransfert, inconscio, sogno, assumono un significato nuovo che esce dall’ottica personalistica e, ancor più dell’inquadramento nel significato collettivo caratteristico del pensiero di Carl Gustav Jung che ha costituito la formazione dell’autrice, esprimono un valore di trasformazione sociale.
L’ampliamento dalla dimensione personale a quella relazionale e sociale (o collettiva, specifica della psicologia analitica junghiana) introduce al terzo ambito semantico dell’intersoggettività, quello ontologico. A partire dal 1985, con la pubblicazione de Il sistema uomo, Montefoschi estende il discorso che aveva svolto, sino ad allora, sul piano della dimensione ontico-esistenziale del porsi dell’uomo nella relazione intersoggettiva. Per l’autrice l’intersoggettività esprime la legge fondamentale dell’essere nel suo dispiegarsi evolutivo nel reale. Tutta la realtà, infatti, è vista come il progressivo dirsi dell’essere a se stesso per potersi conoscere. L’essere-uno è originariamente duale, nel senso che, per essere, pone immediatamente se fuori di sé per vedersi e conoscersi esistente. Nella sua dualità l’essere è potenza e atto, pensiero e attuazione reale dello stesso, femminile e maschile, eros che informa il desiderio di esserci nella relazione e logos che lo realizza, di volta in volta, nelle forme conosciute del vivente. In questo progressivo divenire della realtà, a partire dall’atomo, alle molecole, alle forme organiche, ai viventi, all’essere umano, l’essere, nelle forme che via via si dà di esistenza, conosce sempre di più il suo esserci. La consapevolezza dell’esserci dell’essere avviene attraverso l’ampiamento della coscienza che le forme viventi esprimono, sino ad arrivare all’uomo che possiede il più alto stato di consapevolezza che l’essere ha di sé a tutt’oggi. La visione ontologica di Montefoschi è perciò radicalmente relazionale ed evolutiva, oltre che dialettica. La dimensione evolutiva dà ragione del progressivo divenire consapevole delle relazioni. In Il sistema cosmico è descritta la diversa modalità relazionale a partire dagli elementi subatomici sino alla prima forma di coscienza, quella dell’atomo, dove protone ed elettrone sono le prime due forme soggettive in rapporto tra loro. Le forze che la fisica descrive come legame tra le diverse entità di coscienza (particelle, atomi, molecole, composti organici, sistemi viventi elementari, vegetali, animali, sino all’uomo) corrispondono per omologia alle due diverse modalità di rapporto che abbiamo descritto sul piano psicologico: l’interdipendenza e l’intersoggettività.
Interdipendenza e intersoggettività, a loro volta, descrivono la legge più generale che per Montefoschi permette l’esserci dell’essere e di tutto ciò che è: la legge del “tabù dell’incesto”. E’ questa la legge che sottende ogni processo di conoscenza e impone ai simili di restare separati, per poter mantenere la dimensione dialogica tra loro senza collabire in un’unità indifferenziata e inconsapevole. Per la necessità di non coincidere tra simili, pur mantenendosi in relazione dialogica, la legge del tabù dell’incesto si declina in due formulazioni complementari. La prima è quella che stabilizza un sistema di conoscenza raggiunto ed è, per l’appunto, quella che impone ai simili di non coincidere. Ad esempio, a livello atomico, si esplicita nella forza repulsiva tra nucleo ed elettroni, che permette loro di rimanere separati senza annullare le cariche positiva e negativa. La seconda formulazione della legge del tabù dell’incesto è dinamica e incalza i simili, divenuti diversi, a restare in relazione e a ricongiungersi per raggiungere un livello energetico più elevato, che corrisponde a un livello di coscienza più elevato. Nell’esempio precedente è la forza che crea gli orbitali tra elettroni e nucleo, dove ogni orbitale è caratterizzato da un livello diverso di energia quantica; è la legge che si esplica nei fenomeni di fusione e fissione degli atomi. Le due formulazioni dialettiche della legge del tabù dell’incesto, che sottendono il divenire dell’esserci dell’essere, teso a una sempre più completa conoscenza di sé nel suo esserci, sono per Montefoschi universali. Esse non solo hanno un omologo nella psiche umana (la dinamica edipica descritta per la prima volta da Freud in modo didascalico e ripresa da Jung in modo simbolico), ma è proprio l’essere umano stesso, in quanto momento di coscienza più elevato che l’essere tutto ha di sé nel percorso di evoluzione nel quale si conosce, che diventa consapevole della legge universale del tabù dell’incesto interrogando se stesso nella propria interiorità. Proprio perché la legge del tabù dell’incesto delinea la necessità della separazione e del congiungimento degli analoghi, essa è la legge che illustra la dinamica del Soggetto uno-duale del dirsi nell’intersoggettività. Infatti, le due formulazioni della legge corrispondono esattamente alle dinamiche dell’interdipendenza e dell’intersoggettività che si danno nella relazione e che Montefoschi ha descritto a partire da L’uno e l’altro.
Nell’accezione ontologica, perciò, intersoggettività indica non solo il campo relazionale tra i soggetti umani, non solo le modalità diverse di relazione che si danno nel rapporto, ma anche l’essenza stessa della soggettività. Soggettività che è la dimensione essenziale del Soggetto-uno in continuo dialogo duale con se stesso e che nel soggetto umano esplica tutta la sua potenzialità. Tuttavia, nel “sistema uomo” non vi è ancora una completa coscienza dell’intersoggettività, perché il sistema conoscitivo che si dà procede ancora nella radicale separazione di soggetto-oggetto. E’ con la psicoanalisi che, per Montefoschi, si dà la possibilità di un ulteriore salto evolutivo di coscienza oltre il sistema uomo.
Perché la psicoanalisi?
Perché con la psicoanalisi il soggetto, che riflette sulla propria interiorità e la scopre non separata dall’esteriorità del reale, recupera la proiezione che di sé aveva fatto nell’oggetto. Il recupero del proiettato è ciò che illumina diversamente i disagi esistenziali che stiamo attraversando (non più oggettivati nella malattia) e ci permette di condividerli con la soggettività degli altri, per informarli di senso e trovare una soluzione che ampli l’orizzonte di visione dell’umano. L’analista può comprendere il disagio del paziente in quanto soggetto, perché lo riconosce come altrettanto problema che la vita pone a lui soggetto; così il paziente riconosce la soluzione al problema che prospetta in analisi, proprio perché condivisibile nella comune ricerca di un senso con l’analista. I due, analista e paziente, pur essendo distinti e diversi, condividono intersoggettivamente la stessa domanda che la vita pone loro, essendo simili in quanto soggetti.
Non a caso Montefoschi conclude il discorso con l’aforisma: io sono te e tu sei me, pur essendo io e pur essendo tu.
Precisate, a questo punto, le diverse dimensioni del paradigma intersoggettivo, quali possono essere le conseguenze per la pratica psicoanalitica? Le accenniamo qui brevemente.
L’intersoggettività nella sua dimensione sistemica segna il superamento della teoria pulsionale in psicoanalisi e propone uno sguardo radicalmente orientato alla relazione, per riflettere sulle dinamiche conflittuali dell’individuo e proporre, contemporaneamente, il loro senso nella direzione della trasformazione della relazione stessa.
L’intersoggettività come articolazione delle modalità di relazione duale tra individui specifica la precedente dimensione e analizza, in particolare, le dinamiche di dipendenza che caratterizzano i rapporti per favorire il pieno raggiungimento dello statuto di soggetto dell’individuo. Essa impone la re-visione dei concetti fondamentali della teoria psicoanalitica basati sulla teoria pulsionale (e dei contenuti psichici come “oggetti”) e concepisce la personalità del soggetto come un divenire e non come una struttura data.
Infine, l’intersoggettività nella dimensione ontologica supera definitivamente la separazione soggetto-oggetto, che faceva ritenere l’essere umano come una monade avulsa da una realtà irriducibilmente separata (che spesso gli si contrapponeva: vedi “principio del piacere” e “principio di realtà”), per inserire invece il percorso evolutivo del soggetto nella dimensione universalmente intersoggettiva dell’essere tutto; nell’accezione ontologica dell’intersoggettività, l’altro come interlocutore non è solamente l’altro soggetto con cui entriamo in dialogo (come nella relazione paziente-analista) ma è qualsiasi evento reale che attraversa la nostra vita. La psicoanalisi, come metodo intersoggettivo di riflessione e di conoscenza, allarga così i propri orizzonti dalla dimensione individuale a quella sociale e universale; non si propone, dunque, come mera tecnica di cura del disagio psichico, ma diviene conoscenza del reale e ricerca di senso. Un senso non solamente individuale “soggettivo” ma condiviso responsabilmente con tutto ciò che è, sconfinando dal perimetro egoriferito della nostra vita personale.
Paolo Cozzaglio