C’è una bellezza nel sogno che riesce a farci sentire tutti un po’ artisti.
Esso, simile ad un quadro o ad una foto a volte o altre volte paragonabile alla sequenza di un film od anche ad un intero e vero e proprio lungometraggio, ci appare un prodotto comunque astruso, certamente bizzarro, ma non di meno nostro e, nell’attimo in cui ci svegliamo, solleviamo lente le palpebre, stiriamo pigramente le nostre membra e spalanchiamo le fauci in un lungo e ancor sonnacchioso sbadiglio,come emergesse in quella da un estro geniale e pittorico e si imponesse alla nostra attenzione, ci appare opera di “gran mano”.
Si pone davanti agli occhi della nostra mente con tutta la sua singolarità e ci interroga.
Anche colui che velocemente provvede a “resettare” il tutto e l’insieme che la notte, cedendo il passo al giorno, gli ha lasciato, pur rivela, nel gioco delle luci e delle ombre, delle figure e dello sfondo, delle banalizzazione pervase di terrore e delle negazioni difensive, che a sé stesso non può sottacere di essere stato, lui proprio, a dar vita a quella “creatura notturna”, semplice o complessa che sia, che prima non c’era e poi, grazie a lui, c’è stata.
Ecco, dunque, di base, la natura prima, arricchente e confermante con cui il sogno a noi si dona al risveglio: “Ti dico che ci sei; che esisti, perfino al di là ed anche prima che tu ne abbia consapevolezza… anche quando dormi; ti dico che ci sei con una tua peculiarità, assolutamente unica, irripetibile ed originale… perfino inaccessibile… se tu stesso non ti rendi disponibile a fornire formula o chiave d’accesso .
Anni or sono era stato un giovane PZ., sì e no trentenne allora, che mi aveva aperto gli occhi su questo aspetto-base del sogno.
A quei tempi, in una adolescenza protratta, avviluppata in mille incertezze e soggetta alla forza d’urto dei molti dubbi e dei ripetuti momenti di sconforto occorsigli, aveva, una certa volta, ad inizio di seduta, esultante, riferito che infine aveva sognato; sì, era tornato a sognare e nel darmene notizia, mostrava di essere sinceramente contento, financo commosso, dall’evento.
Pareva aver ritrovato un amico, il suo grande amico.
Ci sovviene in questo momento un passo manzoniano che certamente anche Voi ricorderete, perché di poetica bellezza e lapidaria espressività, quello di Renzo che, in fuga da Milano, nella notte di quella che viene definita la sua “discesa agli Inferi”, quando infine, sperimentate tutte le paure possibili ed affrontatane la mostruosità fantasmagorica, ode di lontano il murmure scorrere e sciabordare delle acque dell’Adda e se ne sente confortato, oltremodo confortato, come avesse udito “la voce d’un amico, d’un fratello, d’un Salvatore”.
Ecco, il sogno, col suo esserci e il suo lasciare traccia di sé nella nostra mente, ci rassicura e rincuora: dentro di noi c’è…
Non è facile dargli un nome… l’inconscio? un’energia creativa? un nucleo rudimentale e bizzarro della più lucida ed autorevole “mente logico-razionale”? forse la follia? forse un funzionamento improprio e difettoso di neuroni?
Sarei propensa a riportare il sogno al Sé e a considerarlo un suo prodotto, una sua espressione.
Forse quella più curiosa, eclettica e criptica al contempo, bella della sua natura enigmatica e misteriosa, catturante e capace di motivarci ad uno studio su noi stessi, forse inizialmente un po’ sgomento, ma poi certamente appassionato, coinvolgente – e noi stessi, nel mentre, ne saremmo osservatori attenti e testimoni certi – uno studio maturativo.
Tale studio sul nostro sogno null’altro sarebbe, infine, che il guardarsi, nella sua opera, dell’artista che è in noi e lì si esprime, si riconosce e si individua.
L’artista è anche l’artefice della nostra vita.
Laura Zecchillo