Che svolta importante! Che cambiamento epocale, nel gioco delle bambine, l’utilizzo della Barbie!!!
Era il 9 marzo 1959 quando, in costume da bagno, appariva per la prima volta nei negozi di giocattoli americani la bambola che sarebbe stata, nel seguito, il giocattolo preferito di generazioni di bambine.
Partorita da una felice intuizione della signora Ruth Handler mentre osservava la sua bambina giocare simulando di essere una giovane donna adulta, Barbie fu progettata dall’ingegnere Jack Ryan e prodotta dal marchio Mattel©, oggi un colosso del mondo dei giocattoli, uno dei cui due fondatori era Elliot, marito della signora Ruth.
Rappresentò una vera e propria rottura degli schemi: le bambine passarono dal giocare a fare la mamma al giocare ad essere una donna … moderna.
Fu come se fosse stato detto loro: “Potete spalancare i vostri orizzonti! Potete essere …”, e non venisse posto alcun limite: alla loro fantasia, al loro desiderio, alla libertà femminile nella sua totalità.
Non ci fu più e soltanto l’autoritaristico: “Dovete essere …” di millenaria memoria. Ricorderete, come ci dice Eva Cantarella, che, ai tempi degli antichi Romani, le figlie femmine non avevano neppure diritto ad un nome proprio; se, alla loro nascita, il padre le riconosceva come proprie figlie, alla levatrice o alla donna più anziana di casa che deponeva tra le mani di lui, il “pater familias”, la bimba appena nata, lui poteva discrezionalmente dare o non dare ordine che la si nutrisse; nel felice caso che la piccola fosse accolta, le veniva imposto, al diminutivo ed al femminile, lo stesso nome del padre (Marco Tullio Cicerone si rivolgeva alla sua figliola chiamandola “Tullìola”, ad esempio). Il riconoscimento da parte del padre della bambina, del suo diritto alla vita, era di base un fatto incerto. Si doveva passare attraverso questo rito che attestava anche il fatto che il padre biologico accettava la propria funzione genitoriale, con tutti i suoi onori ma anche oneri e responsabilità.
Con l’arrivo della Barbie, una donnina in miniatura, ma di nulla mancante in quanto a femminilità, e il poter giocare alla “donna moderna”, si aprirono le porte dell’Immaginario femminile, si aprirono le porte al futuro, ad una società in cui molte cose sarebbero cambiate.
C’è da supporre che, lì per lì, ci fosse solo una vaga sensazione che il cambiamento incombesse e tanto massicciamente; così come dobbiamo supporre che non ne fosse chiara la natura, benché i segnali non mancassero, anzi fossero piuttosto evidenti – si pensi alla tedesca Lilli, considerata la nonna di Barbie, da lì a poco fagocitata con una audace mossa di marketing dalla Mattel©) – e forte ne si volesse anche la forza innovativa che avrebbe trascinato al proprio seguito un aumento deciso ed auspicato, una vera impennata, dei consumi a cui aspiravano le industrie convertite del periodo postbellico.
Certamente il mondo femminile sapeva bene quali aspetti del vecchio gioco, “fare la mamma”, risultassero pesanti, ingiusti ed avvilenti, per le donne, che, durante la guerra e nell’immediato dopo guerra, erano state “arruolate”, nel senso più sghimbescio e lato che si possa assumere in questo termine parlando di donne.
Negli anni del conflitto, esse avevano potuto “conoscere il proprio valore” e, a conflitto conclusosi, non erano più disposte ad accettare il chiuso delle varie forme di gineceo che aveva contraddistinto la loro vita precedente e dove gran parte dei loro talenti e delle loro aspirazioni non avevano potuto trovare espressione né valorizzazione; ormai chiedevano che la loro vita potesse essere spesa secondo un criterio di riconoscimento paritetico a quello maschile.
Un aspetto saliente del cambiamento messo in essere dalle donne fu la volontà di essere protagoniste delle loro scelte, della loro esistenza; in Italia, ad esempio, la legalizzazione della pillola anticoncezionale nel 1972 fu determinante e diede una colorazione ben particolare al fenomeno socio-storico in atto del Movimento Femminista.
Ne era inevitabile la ricaduta sulla famiglia e sul mondo maschile: sulla famiglia come istituzione/fondamento della nostra società e sulla compagine interiore del maschio, in quanto tale e nella sua funzione paterna.
Se prima, nei suoi giochi la bambina interpretava propedeuticamente il ruolo della madre che si prefigurava di diventare da adulta, con l’avvento della Barbie, attraverso una simulazione identificativa, ella si pensò come “donna”: bella, amata, colta, indipendente, decisionista, felice, di successo …
E si mosse sul livello di un ideale di sé che non avrebbe potuto non modificare le sue relazioni interpersonali, in primis nella coppia; non avrebbe potuto non portare ad un rimodellamento della famiglia come cellula del tessuto sociale e in essa dei ruoli e delle funzioni dei suoi membri.
Sono passati alcuni decenni: la Mattel© ha promosso nei più vari modi e nelle più efficaci strategie commerciali il suo miglior giocattolo: l’ha reso inossidabile facendone così un’icona … e pare aver suggerito a tutte le bambine che si può avere tutto nella vita, riuscire sempre vincenti … ma
… anche con gli uomini?
… anche negli affetti? …
Barbie è circondata da amici, conoscenti, familiari, animali; fa mille esperienze; la sua vita è piena e gratificante.
Pare non le manchino davvero gli affetti! Tuttavia …
Proprio col compagno di una vita, Ken, ad un certo punto Barbie, alla stregua di un essere umano reale, si ritrova in difficoltà.
Proprio col suo “eterno fidanzato”, Ken, il “belloccio” con cui sta da quarant’anni quarant’ anni di legame!!!
È il 2004.
La casa produttrice di Barbie comunica ufficialmente che i due si sono lasciati!
In fondo sono solo giocattoli, potremmo dirci minimizzando l’accaduto! Ma, nei giochi della psiche, tutto è, si fa, più complicato: crolla l’illusione dell’eterno amore, della felicità che mai vien meno.
Si impone prepotentemente nel pubblico dei beniamini della coppia l’interrogativo del “come mai? Cos’è successo? Sarà possibile che ci ripensino?, ecc. ecc.”. In uno sforzo di positivizzazione dell’accaduto, si osservò, da parte di alcuni, che i due personaggi, molto più saggiamente degli umani, quasi presentendo la inevitabile fine della loro relazione, manco mai si erano legati in matrimonio e men che meno avevano messo al mondo dei figli. Qualcuno recepì la considerazione con un sospirone, traendo da tale riflessione una qualche consolazione.
Non mancò chi, con ferrea volontà spiegazionistica, attribuì a Ken la responsabilità del fallimento della loro storia, in particolare alla sua nota e tenace refrattarietà al matrimonio ed alla paternità.
Barbie conobbe un altro e lo frequentò, ma due anni dopo, nel 2006, con la stessa disinvolta modalità commerciale già utilizzata, sempre la casa produttrice comunicò che i due “erano tornati insieme”.
Qualcuno se ne rallegrò, qualcuno se ne sorprese, qualcuno, ancora, volle capire … la natura insolita, “innovativa”, di quel legame.
Ora la Barbie ha compiuto più di sessant’anni e, al pari di un essere umano – così, d’altra parte, la Mattel© l’ha sempre proposta al grande pubblico dei consumatori – incomincia a tirare le fila della sua vita; rimane un’icona e dietro di lei una schiera, più che numerosa di donne, ne ha replicato e ne replica il percorso esistenziale.
La nostra società è cambiata e noi, suoi osservatori, ci interroghiamo su quanto questo giocattolo, la sua caratterizzazione fisiognomica, psicologica e culturale in genere abbia influito e come abbia inciso sulla formazione delle donne a partire da quell’ormai lontano 1959 o, piuttosto, quanto semplicemente l’amato giocattolo abbia impersonato la trasformazione in atto nel mondo femminile, e a cascata nel mondo delle relazioni interpersonali, a partire dal secondo dopoguerra in poi.
Forse questi due aspetti coabitano da allora nella nostra cultura e interagiscono e si modellano l’uno sull’altro e fanno di Barbie un simbolo della nostra società – per cogliere la rilevanza di questo dato, basti qui riferire che (ma forse a più di uno dei nostri lettori è noto) un prototipo della Barbie si trova insieme ad altri oggetti di particolare valore simbolico, nella “Capsula del Tempo” che verrà aperta nel 2076, nel tricentenario della Dichiarazione dell’Indipendenza Americana, perché gli uomini che verranno possano essere messi nella condizione di conoscere i propri predecessori e il loro modo di vivere.
L’intuizione di Ruth Handler traeva la sua radice probabilmente da un bisogno già maturato, pronto, nella società californiana degli anni Cinquanta, dal mito americano che propagandava la felicità del benessere e il modello statunitense del progresso come incontrovertibilmente vincente.
La seduzione fu forte e forse solo oggi, covid 19 complice, ci ripieghiamo su noi stessi in un saggio atteggiamento riflessivo, come singoli e come comunità, in vista di un ripensamento personale delle scelte che sono state fatte singolarmente e collettivamente e anche di una rifondazione dei valori della nostra società.
Le statistiche, riguardanti l’Italia rendono noto come da alcuni decenni sia in vertiginoso aumento il numero delle separazioni, dei divorzi; come si sia innalzato il numero delle famiglie monogenitoriali nelle quali ogni Barbie si distrae, ma è anche sempre triste; e i vari Ken pervicacemente vagabondano, rifuggendo da ogni responsabilità.
La scala di valori a cui avevano aderito o che avevano a loro volta proposto – non sapremmo ben dire – ci rivela i limiti del nostro tempo e denuncia l’insignificanza dell’apparire a cui stoltamente era stata data tanta importanza ponendo la “narrazione di sé” al primo posto, le “performances” come obiettivo dell’esistere, il godimento, nelle sue varie accezioni, come senso e significato della vita stessa.
Si avverte un senso di saturazione rispetto al carattere panottico del mondo in cui viviamo, uno smarrimento alienante del senso di sé, la mancanza di risposte adeguate alle grandi domande che dall’alba dei tempi ci interrogano.
Il modo di vivere di Barbie e Ken, è ciò che assumiamo come oggetto della nostra riflessione, ben consapevoli che “il loro modo di vivere” è il nostro: l’apparire e la “narrazione di sé sono al primo posto e – come direbbe Miguel Benasayag – noi esseri umani ci siamo trasformati in uomini del supermercato: ne siamo i prodotti ed i consumatori.
E’ possibile una controtendenza?
Sì, pensiamo … se giochiamo con altri doni … ovvero se ci riappropriamo della nostra peculiare natura di Soggetti Riflessivi Intersoggettivi e se rimettiamo in campo la nostra genialità creativa.
Laura Zecchillo